mercoledì 30 gennaio 2008

Johnny Palomba, il colombiano

(in edicola il 30 gennaio 2008)

E’ un notevolissimo Antonello Piroso quello che ci guida nei meandri della psiche del duca Leopoldo Mastelloni, attore e concorrente di reality, lunedì, in Niente di personale. Ma Mastelloni che inveisce contro i tre o quattro “sistemi” che non lo capiscono più come un tempo è solo un dettaglio, tanto è irripetibile lo sfondo su cui la sua ospitata si staglia, e il resto delle ospitate stesse, a dire il vero. Per un attimo non ci pare di essere nel pieno corso una rubrica di approfondimento del tg di la7, ma a casa di una persona estremamente intelligente, che abbia la fortuna di potersi far truccare prima di ricevere i suoi ospiti e di saper porre loro domande molto interessanti. Certo, avevamo visto anche in altre occasioni il giornalista di punta del settimo canale nazionale un po’ fuori dalla solita parte, e indulgere in battute relativamente piccanti e quasi in romanaccio, senza mai però perdere di un briciolo di credibilità e autorevolezza. Un Mentana misurato e mai fuori luogo, per intenderci, con qualche grossa percentuale di savoir faire in più.

Ma nemmeno le più ghiotte occasioni per Antonello - come l’intervista musicata a Lucio Dalla - possono nulla contro il vero evento della puntata di questo lunedì: la presenza di Johnny Palomba in studio. Johnny Palomba, non tutti lo sanno, è il più grande critico cinematografico umoristico italiano. Molti si chiederanno: quale critico cinematografico non è umoristico, di questi tempi. Ma evidentemente non avranno letto le sue micro-recensioni in una battuta fulminante, come quella, immortale, che dedicò a Ray, il film biografico su Ray Charles: “Tutta la vità a creà soni su e giù pe’ storganetto a tastoni”. E’ un uomo misterioso, che compare solo più bardato di un subcomandante, anche nei siparietti con Nanni Moretti che ci stanno togliendo parte del sonno, su Youtube e live. Per lungo tempo le sue opere - tecnicamente: le sue recinzioni - sono state recitate da Valerio Mastrandrea presso la Dandini.
Ora, Palomba, che già pubblicava con Fandango Libri, è stato nominato direttore di Radiofandango e di Fandango Tv, sempre creature dell’instancato Domenico Procacci.

E ha deciso dunque di comparire in televisione e di dimostrare di essere il più possibile realmente colombiano, grazie all’accento, come più volte si è trovato a sostenere nelle varie biografie non autorizzate che ha scritto egli stesso. Quello che qui conta di più non è però la presenza di spirito e l’ironia, doti che già gli tributavamo abbondantemente, e neanche il rapporto dialettico che riesce in breve a intrattenere con Mastelloni, quanto il piccolo cadeau che presenta a Piroso e al suo pubblico: un’autentica “recinzione” del programma stesso di Piroso. Capirete che dopo eventi del genere anche la presentazione del nuovo tour di Eugenio Finardi con Eugenio presente può poco. Suona la sua canzone che fa “dolce Italia, la gente più sincera”, attuale come What a wonderful world mentre Hitler invade la Polonia, e poi non se ne sa più nulla, per quanto risponda numerose domande di Piroso. La parte impegnata del programma è affidata a Mario Giordano contro Bianca Berlinguer.

martedì 29 gennaio 2008

Cinematografo, il Marzullo ok è quello della domenica

(in edicola il 29 gennaio 2008)

Per molti appassionati, il Marzullo vedibile resta quello della domenica. Non solo perché Cinematografo è lungi dall’essere insignificante, sebbene sarà difficile crederlo per chi non frequenta assiduamente la fascia notturna dei palinsesti, o non la frequenta con scopi talk, ed è dunque afflitto da decennali pregiudizi sui mancati cambi di cravatta del giornalista avellinese.
Ma soprattutto perché questo programma, se visto con coscienza e magari con quel briciolo di attenzione in più rispetto a uno spot di Sanremo, può dirci molto anche del resto della nostra televisione, più o meno come scrivono certi autori col gusto del macabro o della malattia di certi stati alterati della salute umana, che mettono in una luce più chiara del resto del corpo, anche se era apparentemente in salute.

Cinematografo, in verità, svolge due ruoli fondamentali. Uno è quello di cesura fra il week-end e la il lunedì mattina. Quello che può notare ogni giorno - fra il giorno e la sua notte - chi guardi Marzullo in Sottovoce, succede su larga scala la domenica, fra una settimana e l’altra. Ogni notte Gigi ci accompagna in territori dalla difficilissima percorribilità, con mano ferma e salda, se non altro perché le sue puntate sono ovviamente registrate. Ai confini labilissimi fra il dovere e il piacere, fra la fine del fine settimana e l’inizio della vita reale, si pone una dimensione da realismo magico tedesco, in cui tutto quanto di più irreale avviene come per leggi ferree, come per un’altra fisica o una nuovo biologia niente affatto approssimativa, ma solo mostruosa. Il secondo è far parlare Selma Dell’Olio in televisione, non importa a che ora avvenga, e chi la guardi.

Un mondo in cui si passano minuti a porle domande su un dubbio di pronuncia inglese, se il resto del parterre tace perché, forse, troppo immedesimato nella parte dell’essere in onda alle 2 di notte. Nascono nuove lingue, dai suoni fintoesotici, come solo Hollywood sa emettere, e fra cui è proprio Selma la stele di Rosetta, il perno su cui il possibile tutto gira, possibilmente fermandosi quando Gianluigi Rondi, il grande vecchio della critica cinematografica italiana, non ne può più davvero. E’ per questo che la moglie di Giuliano Ferrara è sempre più conduttrice morale del talk sul cinema, con Marzullo ospite fisso, e non già viceversa. Forte del suo essere stata allevata almeno per una certa parte della tarda adolescenza in USA, Selma è del tutto convinta di poter dire ciò che pensa di qualunque cosa, e ciò include anche fare gaffe su traduzioni anche solo di titoli di blockbuster notissimi (esempio: quella di Be Cool con Uma Thurman, che sarebbe anche celebre, oltre che memorabile, se qualcuno avesse visto quella puntata).

E’ una di quelle amiche che hanno più o meno tutti nella vita, di quelle che sentendoti parlare di Harry Potter con poca convinzione, sono capaci di interromperti scandalizzate dicendo: “Ma come, tu Albus Dumbledore lo chiami ancora Silente, come hanno scritto nell’edizione italiana?”, con lo stesso sdegno francesistico di Carla Bruni in un’imitazione di Fiorello.
Amiamo Selma Dell’Olio perché ci ricorda ogni settimana da dove veniamo e dove non andremo mai.

lunedì 28 gennaio 2008

The Agency, per pochi (dis)intenditori

(in edicola il 26 gennaio 2008)

A notte fonda su La7, perché nessuno o quasi possa sapere quanto è fatto male - e quanto meravigliosi e rari siano alcuni filmati girati direttamente dentro alcune vere sedi della CIA - il serial di spionaggio The Agency vive la sua vita italiana, fatta di doppiaggio più che indecente e i soliti pochissimi appassionati costretti a scaricarsela illegalmente, piuttosto che registrarla. Con il solito vantaggio-svantaggio (come si direbbe a ragione di serial inoltrati alla sesta edizione, e già triti alla terza) di non capire che un 10 per cento in più dei dialoghi ad ogni visione. Che nel caso di The Agency, credete, è un rapporto molto più sbilanciato sul vantaggio, per quanto di stagioni ce ne siano state solo due, troncate di netto non da agenti segreti cui si fossero pestate le scarpe con coltellino svizzero integrato, ma quantomeno dal pubblico insoddisfatto.

Il seriale americano prodotto dalla CBS, come anche chi non faccia necessariamente la spia può intuire dal suo titolo, parla di vicende di agenti della Cia, l’agenzia di intelligence americana. A vederlo una prima volta, o anche solo una prima scena, The Agency è soltanto un prodotto male o pessimamente confezionato. La seconda volta è tutto più chiaro: basta intenderlo un prodotto di parodia del genere spionistico, e non sono il risultato è apprezzabile, ma è anche molto comico e godibile. Non siamo ai livelli di Una pallottola spuntata, ma poco ci manca. Quello che stilisticamente funziona meglio, in quest’ottica, è proprio l’importanza esagerata di elementi come fotografia e interpreti, a fronte di una sceneggiatura del tutto demenziale. Il doppiaggio italiano, come spesso accade, estremamente magniloquente e fine dicitore anche quando non ce ne sarebbe alcun bisogno, fa il resto, e vi assicuriamo che è possibile passare almeno un quarto d’ora di insonnia grave in compagnia di finti agenti della Cia e non pentirsene affatto.

Indimenticabili certe aperture di puntata. Un mega proiettore della Cia proietta su un muro segretissimo di sede immagini di falangi, falangine e falangette afgane mozzate. Ognuna con un cartellino ordinatamente legato (al dito, sic). Due su sei dei cartellini appaiono bianchi, quindi o sono capovolti per sbaglio o qualcuno si è dimenticato di scrivere battutacce sui colleghi sceneggiatori, perché comunque sarebbero risultate illeggibili da casa. Un voce da Quark – non ce ne voglia l’ottimo Claudio Capone, che non ha niente a che vedere con la faccenda – espone agli altri agenti in ammirazione: “Dita mutilate. Non siamo in grado di identificare i corpi così. Per questo abbiamo tratto dei campioni di Dna dai parenti viventi di Bin Laden”. Il resto della congrega si guarda dubbioso per qualche secondo utile, affinché il più sveglio di tutti si alzi e pronunci, con voce calda e sexy: “Abbiamo identificato qualcuno?”. “Sfortunatamente no”, risponde il capo. E l’altro: “Allora, perché guardiamo tutte queste dita mutilate?” The Agency è un’enorme interminabile barzelletta sui carabinieri, solo che invece che essere sui carabinieri è sulla Cia. Chapeau!

venerdì 25 gennaio 2008

Fiorello e il mini-show, due possibilità per durare

(in edicola il 25 gennaio 2008)

Il nuovo show di Fiorello, alle prime due puntate, suonava – a ragione – talmente geniale che se ne scriveva solo contando di quanti minuti avesse superato la durata prevista, come ancora timorosi di valutarlo o recensirlo come se fosse un programma televisivo realmente valutabile o recensibile. Appena ha cominciato a dare segni di cedimento, mercoledì, ecco che tutti, finalmente, gridano al genio; fanno i Vincenzo Mollica sui giornali - pur spesso senza averne la stazza o il tornaconto – lo vogliono sindaco di una ritrovata televisione di qualità. Innanzitutto, questi segni, se pure fossero di cedimento, crediamo siano dovuti semplicemente alla dimensione televisiva quotidiana che Fiorello e i suoi autori non avevano usato mai a questi livelli qualitativi. Seppur sottoforma di quelle cosiddette pillole - che sono spesso solo un modo per evitare all’ultimo di usare l’altra metafora di “supposte”, cosa che pure si avrebbe in pectore per tante trasmissioni del genere – insomma, Fiorello, starebbe accusando il colpo della brevità e della continuità da rispettare, pena uno “sforare” che si è potuto concedere con una certa nonchalance solo per i primi giorni di messa in onda.

Ora, Rosario ha davanti due possibilità. Da una parte, la scelta di premere per stanziarsi ulteriormente in questo nuovo tipo di varietà, adattandosi o stilisticamente o socio-rai-diplomaticamente. Vale a dire: facendo uso di tutto il suo talento per riuscire a dire quello che vorrebbe dire in massimo 10 minuti effettivi (complice il riuscitissimo cronometro, che si ferma quando non si ritiene “varietà” quello che va in onda). O di tutto il peso presso Fabrizio Del Noce o chi per lui per ottenere una ventina di minuti effettivi, orologio da bianconiglio, ma digitale, in sovrimpressione o no. Dall’altra, la possibilità, più remota, di fare come ha fatto lentamente Fabio Fazio col suo “Che tempo che fa” (nato previsioni del tempo, che sta studiando come talk): cioè far mutare proprio geneticamente, puntata dopo puntata, lo scopo e il format del suo show senza che quasi nessuno se ne accorga, facendolo diventare un sublime sostituto dei tremendi quiz del dopo TG1. Gli autori ci sarebbero, quanto la capacità di improvvisazione, per gestire un programma del genere per una mezz’ora al giorno, dal lunedì al venerdì, almeno.

Certo anche in questo caso servirebbero talento e peso presso dirigenze, ma non crediamo che manchino, almeno a Fiorello, in questo momento della carriera. Detto questo, lo diciamo anche noi: autori e Fiorello sono geniali questa prima settimana. La gag della Orsomando che imita se stessa che imita Fiorello che imita la Orsomando è superiore perfino alla comicità di Laura Pausini, nello stesso ruolo, che non finge altro che di essere abbastanza international da non sapere più pronunciare bene l’italiano, e dunque neanche imitare se stessa. Le battute sul plastico dell’Udeur che Bruno Vespa avrebbe avuto in serbo per Mastella, una volta commesso il “fattaccio” è la sola punta d’iceberg che possiamo nominare in questo articolo. Teniamo a nominare sempre anche gli autori, se non altro perché, in queste fasi di assestamento, poco può essere lasciato all’improvvisazione, la vera arma letale di Fiorello e Baldini, se non altro per motivi di tempo. L’unico motivo dei segni di cedimento, speriamo. E speriamo anche che il tempo non sia spietato con lo show quanto lo show è stato tiranno con il povero attuale governo.

giovedì 24 gennaio 2008

Bene Strabioli facendo colazione

(in edicola il 24 gennaio 2008)

Se c’è una cosa che non si può non adorare di Pino Strabioli, oltre al fatto che conduce uno dei piccoli eccezionali programmi meno visti della nostra televisione, è il rapporto che manda avanti col pianista di studio, Leo Sanfelice. Sono uno straordinario duo comico, che forse non potrebbe essere valorizzato maggiormente da una trasmissione anche solo leggermente più mainstream, perché vive di un mondo di tempi e ritmi tutto suo, creato nel tempo, e mantenuto con la grazia di chi si diverte lavorando e non si dimentica mai né che si sta divertendo né che sa lavorando. Cominciamo bene Prima (la prima parte, appunto, dei Cominciamo bene che ogni mattino Rai Tre ci trasmette) è così: o lo si ama o si fa finta di non guardarlo, mentre si fa colazione tardi o si è uno studente di ogni ordine e grado a casa malato.

Certo, forse non è il caso che sia realmente Pino a recitare le opere poetiche che ci pone spesso come esergo per le sue puntate.
Non veste estremamente sobrio, e per giunta lo vediamo spesso appena svegli, se abbiamo naturalmente la fortuna di fare o non fare un lavoro che ci permette di vederlo effettivamente. Dice un po’ troppo spesso “per la regia di” perché possiamo credere in toto al suo senso dell’umorismo quando parla col suddetto pianista. Ma Pino è un conduttore sincero, che tratta nella sua trasmissione di qualcosa che non solo conosce, ma che perfino ama: il buon teatro di prosa di una volta, quando viene proposto anche oggi, e non è anacronistico né con Michelle Hunziker o Manuela Arcuri. Senza dimenticare rievocazioni semi-spiritiche di grandi interpreti di sceneggiati televisivi Rai del passato, e di brani che hanno fatto il passato remoto della grande tradizione della canzone italiana.

E’ il Paolo Limiti dei più piccini, anche se tratta delle stesse epoche, con quella particolare forma di nostalgia che si prova solo per le cose per cui, per motivi cronologici, non si può tecnicamente chiamare nostalgia, ma più che altro perversione per Nilla Pizzi.
Negli ultimi tempi, spesso puntate intere sono dedicate alla riscoperta di uno sceneggiato girato e interpretato benissimo, di quelli che ci fanno domandare, ed era il caso di farlo davvero, come sia possibile non solo che la gente veda certe fiction recenti (prima fra tutte, non dimentichiamo mai Guerra e Pace con Alessio Boni), ma anche come sia possibile che vengano girate e sponsorizzate. Poi, ci ricordiamo quanto ascolto fa Strabioli anche al mattino - così di nicchia, se vogliamo, eppure così contaminato dal prime time – e tutto torna a non sorridere.

Scena per scena, poniamo il caso, “Cime tempestose” del ’56 viene prima raccontato e poi analizzato. Il conduttore si accompagna a due giovani attori che ne discutono con la giusta dose di ammirazione e rottura di scatole. Perché un giovane, beninteso, deve rompersi le scatole davanti a un Cime tempestose ’56. Ma poi dovrebbe avere i mezzi interpretativi, e soprattutto logistici e produttivi in senso lato, per fare di meglio nel 2008. E invece no. Suonala ancora, grande Leo Sanfelice.

mercoledì 23 gennaio 2008

Il Gf cambia corso: anche il reality si è trasformato

(in edicola il 23 gennaio 2008)

Il Grande Fratello di quest’anno, iniziato lunedì sera in prime time, perdendo nientemeno che contro “Un Caso di coscienza 3” la sfida Auditel che tanto lo confortava le scorse stagioni, ha alcune marce in più rispetto alla tradizione di reality che esso stesso ha inaugurato. Un tempo, il reality-show era il programma innovativo e relativamente incontrollabile che gli altri elementi del palinsesto temevano (fossero questi elementi dei quiz, delle sedute di infotainment, delle classifiche musicali o le varie orribili personificazioni di essi che li conducono). Questo avveniva principalmente perché il reality non aveva copione e le donne in esso sembravano belle e giovani anche senza troppo trucco. Uomini e donne della televisione, abituati da decenni a chiedere il permesso ad autori a volte diciottenni il permesso anche di schiarirsi la gola alle prove di un intervento sul divorzio di Pippo Baudo durante un talk – e nondimeno avvezzi anche ad ore ed ore di make-up – hanno visto da subito una terra promessa mancata, in quella formula apparentemente geniale, e poi solo noiosa, di uno show in cui erano i protagonisti a dire alla telecamera dove guardare, muovendo dalla stanza da letto verso il gabinetto sociale.

Dal momento che, nonostante le apparenze, la maggior parte delle persone che lavorano e contano davvero in televisione non hanno ancora partecipato né parteciperanno a un reality show, la tendenza sopra sintetizzata ha avuto presto la peggio, e il reality si è trasformato in altro degli strumenti delle politiche e delle economie editoriali dei canali e dei palinsesti. La sincerità paga pochissime volte in fatto di spettacoli, soprattutto quando sono molto visti; e quando paga, non paga come si vorrebbe.
Questa ottava stagione di Grande Fratello, in particolare, sembra segnare un punto di svolta. Mai era stato così recitato, così eterodiretto, così editoriale. La scena fintissima della separazione del brasiliano dalla moglie che rinuncia a entrare nella casa, pur gelosissima, per lui, è proprio l’anello che non tiene, con cui si è esagerato, ma che si propone come annuncio del nuovo corso.
Il Grande Fratello è talmente ben scritto ormai, che è scritto meglio della maggior parte delle altre trasmissioni, che si sono come rilassate dal punto di vista della cura dei testi, soprattutto proprio per l’avvento dei reality-show stessi.

Siamo quasi davanti alla nuova Alda D’Eusanio: una trasmissione che dovrebbe essere improvvisata, ma che è invece talmente ben orchestrata e recitata che la minoranza degli spettatori (che capisce la solfa) la guarda fra il divertito e l’ammirato. Il resto, la maggioranza, la guarda lo stesso. I mostri che la tendenza reality ha creato sono sotto gli occhi di tutti: L’italia sul due, Buona Domenica, Amadeus. È abbastanza evidente, ormai, che quando Canale 5 o chi per esso ha voglia di far finta di far sapere al suo pubblico come la pensa su un certo tema, vuoi la transessulità, vuoi le coppie multietniche, vuoi la situazione post-divorzio di Katia Ricciarelli, non è più al Tg5 o a Verissimo (la sua appendice meno trash e vitale) che si affida, ma al Grande Fratello.

martedì 22 gennaio 2008

La Dandini è tornata ma c’è aria di precarietà

(in edicola il 21 gennaio 2008)

In barba a quelli che la davano per chiusa anticipatamente, Serena Dandini ha ripreso il suo “Parla con me” con la grinta in più della partecipazione amichevole o straordinaria di Paola Cortellesi, a seconda dell’ispirazione del momento, che propone in apertura di puntata una grigia versione solo politicamente scorretta di un misto fra la Vulvia di Corrado Guzzanti (Rieducational Channell) e se stessa quando faceva ridere veramente. Neanche la scena in cui Vergassola distribuisce cannoli festeggiando la condanna di Cuffaro è nello stile cui ci avevano abituato conduzione e regia della trasmissione più interessante della seconda serata domenicale, inutile puntualizzare. C’è nell’aria un’aria di precarietà che prima non c’era, che spinge a punzecchiare forse dove è impossibile che faccia ancora male i mostri, i folli o i rifiuti che un tempo sarebbero stati satirizzati più onestamente.

A dire il vero lo spirito di prima delle vacanze natalizie non torna neppure nella parodia di Renato Carosone ad opera della Banda Osiris. Si pensi solo che i versi top della versione post-mastelliana di “Io, mammeta e tu”: “Alla Asl o alla Regione vanno chille ‘e Ceppalone”. Una vera occasione sprecata, che anche solo un paroliere delle Iene avrebbe reso una delle hit del trio Medusa, da cantare rigorosamente in piazza di Montecitorio.

Sempre di pregio, d’altro canto, l’Andrea Rivera degli scherzi citofonici, in esterna. Che non solo contribuisce, seppure in minima parte, a far rivalutare questo importante capitolo, troppo spesso dimenticato, delle scienze della comunicazione, quando ancora non c’era scienze della comunicazione. Ma, soprattutto, ha il merito di farci conoscere un lato inatteso delle vittime delle sue incursioni nel mondo del sondaggismo: al citofono, i campioni sono sempre diversi da come sono al telefono o per strada. Hanno una presenza di spirito che non è intimorita dalla visione di un microfono, né troppo rilassata, per il sedere in poltrona, e riesce spesso a fare sfoggio di risposte più brillanti di quelle di tanti ospiti televisivi di alto rango o bordo. Un esempio per tutti: la nonnina che, alla domanda se sia in casa lo spirito di Galileo Galilei, risponde senza indugio alcuno: “ No, ma sta al piano di sotto”. Gli ospiti d’alto rango o bordo di questa puntata, invece, sono nientemeno che Vandana Shiva l’ecologa sociale e Raoul Bova l’attore asociale.

Vandana propone viaggi in cammello e l’idea che vestire tutti uguali e avere il cervello clonato significa fascismo, e dopo ognuna di queste affermazioni sorride come un grande professore quando fa una battuta particolarmente intelligente, una di quelle per c’è bisogno di un certo ottimismo per considerarle comprensibili dal pubblico. Con Bova, invece, torna la vecchia Dandini molto intelligente e gran salottiera sostenibile. Il paragone con Dario Vergassola, che la spinge a citare la Shiva della “bella varietà della natura” è solo l’inizio di una serie di convenevoli di charme che viene interrotta solo dall’arrivo di Vergassola stesso, in forma smagliante, a disfare come al solito in cinque minuti il personaggio che anni di nuoto, e cinque minuti di intervista della Dandini, erano riusciti a tessere.

lunedì 21 gennaio 2008

Don Matteo, ritorno (in)aspettato

(in edicola il 19 gennaio 2008)

Puntuale come pochi dolori alla cervicale o molti incubi ricorrenti, ogni anno don Matteo ritorna su Rai Uno, manifestandosi sempre alla domanda: “Si aveva bisogno di un’altra fiction su una forza dell’ordine a scelta”? Sono sei anni che la risposta è “sì, se si tratta di una fiction con una forza dell’ordine a scelta e un prete piacente, con un passato da picchiatore cinematografico con effetti speciali audio raffazzonati”. L’abbandono da parte di Flavio Insinna del ruolo del capitano Anceschi non ha nuociuto quanto speravano i suoi agenti allo sviluppo delle trame della sesta stagione, che è sempre saldamente costituita da placide ingerenze del potere spirituale su quelli esecutivo e giudiziario, e problemi deontologici di agenti donne sotto tono, rispetto alla concorrenza delle carabiniere inarrivabili di Canale 5. Ma il cast femminile, come da tradizione, si rifà prontamente con le suore, in molti casi al livello di un remake di Emmannuelle nera in convento, o su di lì.

Gli intrecci delle puntate non saranno certo mozzafiato, però i validissimi caratteristi e soprattutto i bambini fanno un grande lavoro per i dettagli. L’ouverture della prima puntata - con un gruppo di preadolescenti che, invece di giocare a guardie e ladri, simulando sparatorie, rubano le talari del parroco Matteo e cominciano a inseguirsi per la casa - non ha prezzo in questo momento di difficoltà nei rapporti fra laicità e Chiesa. La diatriba che ne scaturisce, presto risolta fra una suor Maria in stato di grazia e la perpetua Natalina, è una bella pagina di neo-trash. Di quello sincero, e non affettato, come ormai succede sempre più spesso al cinema, con i seguiti di tante commedie amatissime negli anni ’80. Qui il trash non deriva dalla volontà esterna di un produttore, ma dalla reale insicurezza degli sceneggiatori, a gestire un litigio fra una suora-modella indignata e una romanaccia riflessiva, e non gli biasimiamo, per via della certa difficoltà che una simile ambientazione comporta. Per giunta in Umbria!

Spetta al grande Nino Frassica il compito di compensare. Il suo personaggio è uno dei migliori scritti per le fiction poliziesche italiane. E’ l’anello che non tiene fra tanta pompa e circostanza, per dirla alla Edward Elgar. Non c’è un solo momento in cui creda di essere un carabiniere – abbiamo in continuazione paura che possa richiamare a sé il mago Forrest e fargli onorare una bandiera – eppure è sempre il più credibile di tutti, per via di un’umanità che non gli deriva affatto dal non sapere realmente recitare (come succede invece a tanti casi umani nelle produzioni di film per la tv italiana), ma dal saper capire che si trova in una fiction in cui Terence Hill interpreta il parroco di Gubbio. Ancora culto la scena in cui la perpetua Natalina si ritrova nel confessionale un don Matteo che non le scriveva da quindici giorni, di cui pensava di aver perso le tracce.

Lui non fa in tempo ad assolverla, che lei fuoriesce dal confessionale in preda alla gioia e viene sollevata da terra dal religioso, e fatta vorticare per alcuni secondi. L’arrivo di Pippo il sagrestano sulla scena, interpretato come sempre dallo straordinario, sempre felliniano Francesco Scali, restituisce alla terra la moglie rapita dal misticismo, prima che anche solo qualche nuova assoluzione alle intenzioni debba essere pronunciata.

Il sacro e il profano di Vespa con la Bruni in seconda serata

(in edicola il 18 gennaio 2008)

La puntata di Porta a porta dedicata, martedì, all’unione fra Carla Bruni e Sarkozy è probabilmente la migliore della stagione. Ed è oltremodo significativo come si riesca ad ottenere questo risultato su un tema che è la migliore sintesi fra il sacro e il profano di Bruno: stile gossip con la politica e grande giornalismo col pettegolezzo. Ognuno degli ospiti si rende conto subito della situazione, e dà il meglio di sé con uno slancio e con una facilità mai vista prima. Lina Sotis lancia battute come in estasi, posseduta da uno spirito che le segna le cose da dire su un gobbo immateriale, che fissa davanti a sé, leggermente a destra dell’obbiettivo della sua camera in esterna, e non ne sbaglia neanche una. E’ di una crudeltà e di una pacatezza da sibilli che inventa vaticini, alla Dürrenmatt. Sublime il momento in cui le deve essere venuta in mente una perfida definizione della nuova coppia di cui si parla, ma non la pronuncia: la affida a qualche redattore che, prontissimo, la scrive su un foglio di carta e la fa inquadrare da un operatore: “Lo squalotto e la caimana”.

E’ una serata di quelle che non tornano, o che preannunciano una nuova epoca. Commovente, ad esempio. il modo in cui l’autore del servizio sull’infanzia musicale di Carla Bruni riesca ad evitare la facile battuta, parlando del rapporto fra la madre Marisa e il vero padre della modella, quando a un certo punto dice: “Lei suona il piano”. Non soltando riesce ad evitare di concludere il periodo con l’ovvio: “E lui la tromba” (per tacere del fatto che non erano affatto a fiato gli strumenti che sapeva suonare meglio), ma riesce a farla pronunciare a tutti noi. Del resto siamo in seconda serata su Rai Uno, e l’autore è uno dei migliori della squadra di Vespa. Ma naturalmente la vera stella è il più grande giornalista radiotelevisivo italiano vivente: Antonio Caprarica. Del resto, è sempre così quando viene invitato e, dobbiamo presumere, accetta di andare in onda con Vespa. E non ce ne voglia neanche l’immenso Mario D’Urso, purtroppo, troppo signore per intervenire spesso, ma anche talmente indispettito dalla grammatica della moglie del figlio di Jean Pal Belmondo, per farlo anche di rado.

Caprarica è l’emblema del mood della serata, da sempre il giusto equilibrio fra un parlare alla grande delle piccole cose, e il laissez-faire, solo apparentemente, sulle enormi incongruenze e sconvenienze del mondo e della società. Senza mai trascurare di nascondere la sua conoscenza dei fatti, finché è possibile, attraverso battute o – ancor meglio – vere opinioni. Salvo poi ogni volta che gli viene richiesto, mostrare che anche in fatto di sociologia dell’adulterio (altrui, naturalmente) ne sa una più di Alba Parietti.
Anche Vespa, dal canto suo, partecipa di questo clima. Il suo “se dietro questa porta ci fosse Carla”, all’ultimo scampanellio della porta, davvero raggela tutti (perfino la Spaak, che l’aveva difesa a spada tratta, ma sempre col sorriso sulle labbra da testimonial del botulino ragionato, e quasi moderato). E resta uno dei picchi di qualità assoluti di un programma che forse promette una svolta, o quantomeno dichiara, finalmente, e apertamente come non mai, quanto spesso debba sforzarsi di trattenersi, nelle puntate medio-basse cui ci ha abituato, dall’essere quel pizzico più intelligente – o solo spiritoso – che renderebbe davvero tutta la faccenda di fare un talk-show di massa estremamente più facile per tutti: ospiti, pubblico e conduttore.
Non c’è neppure l’ombra di Renato Mannheimer.

venerdì 18 gennaio 2008

Su La7 c’è Pierino (la peste) e le sue insolenti Markette

(in edicola il 17 gennaio 2008)

Gli anni passano - solo sulla carta, almeno per il suo conduttore – e Markette continua ad essere il miglior programma del Chiambretti della maturità, se così si può dire. E se “Chiambretti c’è” fu il migliore addio possibile all’adolescenza di questo conduttore dalla linguistica unica e le coriste irripetibili. Eppure, in cuor suo, quello stesso cuore tanto vicino al cervello (per parafrasare con un modifica in extremis Fabrizio De Andrè, quando si riferiva a certe coordinate anatomiche delle persone di bassa statura) Piero è ancora il fanciullino post-pascoliano, geneticamente modificato, della televisione italiana, capace di stupirsi delle piccole cose, dei segni di intelligenza che tira fuori da una valletta, e di restare impassibile davanti a un vero giornalista che dice idiozie. Solo, le sue interviste stanno diventando sempre più citate, in qualche modo più autorevoli. Sempre meno personaggi della finanza, dell’editoria, della politica rinunciano a un passaggio nel suo piccolo programma su la7. Così Markette, che dovrebbe essere, cosa annunciata già dal suo titolo, il Satyricon (di Petronio, non di Luttazzi) della decadenza dell’impero della televisione commerciale, continua a stupire per contenuti e stile.

La trasmissione ha mantenuto, in linea di massima, la struttura degli scorsi anni, e naturalmente questo non è un male. Sono ancora più curati le elaborazioni video che fanno da sipario fra le parti dello show, e fra lo show e la sua pubblicità. Questo martedì si comincia con una lunga intervista in cui Vittorio Zucconi fa lo spiritoso sulle primarie americane, per poi passare al promo di rete della trasmissione, che introduce la solita “fine anteprima”, ormai usata stabilmente anche nelle migliori famiglie, per motivi di separazione degli intervalli di orario da sottoporre all’Auditel. Nel promo, Chiambretti si unisce ai suoi collaboratori storici in un travestimento da supereroi che lo vede come Superman alla guida di una reunion di personaggi Marvel, fra cui spicca la Wonder-nonnina. Sempre curatissima la parte musicale (se solo fosse dal vivo, la migliore di ogni altro esempio italiano): Mr. Brown, “il Vessicchio coloured”, vale da solo una tipica orchestrina Rai nella sua interezza. Per non parlare della prima voce solista donna, che nella prima puntata non riceve forse lo spazio che meriterebbe. Alcune segnalazioni varie, che riprenderemo, magari, in approfondimenti nel corso della stagione, in apologie o ritratti di singoli personaggi dello show.

Lorenzo Riva ritenta molto inutilmente di prendere il ruolo che fu di Renato Balestra in Chiambretti c’è, ma per fortuna gli si concede più o meno lo spazio della nonnina, che invece ne meriterebbe di più. Buona l’idea di restituire verginità (“rivergination”) alla inverosimile Vanja Rumena, già valletta degli stacchetti di Ciao Darwin, ora proposta come nuova musa di Chiambretti. Non ottima, come i geniali spogliarelli al contrario (i rivestimenti) di Madga Gomez nelle passate stagioni, ma l’indirizzo è quello: forse il giusto modo di proporre in video donne pur fantasticamente belle e pur possibilmente seminude. Della grandezza di Costantino della Gherardesca, che resta nonostante gli acciacchi della noia, riparleremo.

Quello che continua ad essere il fiore all’occhiello di Piero restano i gemelli gelatai riminesi, che non hanno pari nel resto del panorama italiano, e che ci ricordano, più di ogni altra presenza, qui, una televisione di tempi che non sono più tornati.

giovedì 17 gennaio 2008

Con Omnibus va in onda il pluralismo della Tv

(in edicola il 16 dicembre 2008)

Omnibus, che è uno dei pochi programmi realmente pluralisti della nostra televisione, continua ad essere uno dei motivi per cui chiedere a gran voce che il segnale di La7 sia distribuito sempre meglio su tutto il territorio. La semplice sigla grafica promette e mantiene il primato di questa trasmissione di approfondimento imparziale ma interessante. Consiste in una specie di sezione di parlamento vista dall’altro, con semicerchi tipo scranni, in tre colori, che ruotano concentricamente, ma senza mai aprirsi verso un’unica verità (che, di norma, senza leggi elettorali problematiche, dovrebbe essere quella del governo, almeno come posizione nell’aula virtuale che il grafico ha immaginato, e sarebbe comunque un male, se fosse unica). Dalle 7 del mattino fino alle 9, con l’eccezione di quell’appendice decadente della rubrica di Alain Elkann, non potremmo chiedere di più al palinsesto del canale più coraggioso e giovane dentro che abbiamo in Italia.

Nel corso della rassegna stampa, Paola Mascioli e Andrea Pennacchioli si dividono perfettamente i compiti della giornalista seria, con dizione, e di quello quasi divertente, che commenta le notizie più liberamente, e si concede spesso, facendolo, di usare la sua cadenza di origine geografica. Orfani di Luisella Costamagna, orfanissimi di Rula Jebreal, cerchiamo di dimenticare l’allure di quei tempi, concentrandoci sulla concretezza di notizie date sempre in ordine non sospetto, e senza alcun entusiasmo né malcontento visibile (cosa che non è più un’ovvietà almeno da quando è stato fondato il primo telegiornale italiano). Ma anche i dettagli, nell’insieme così promettente, non sono da meno. Ed ecco Paolo Sottocorona che si esibisce in un meteo ragionato, messo in discussione, dialogato paragonabile ai primi tentativi di rinnovamento di uno stile che fecero dei suoi colleghi su Che tempo che fa, nelle prime puntate della prima stagione, poi abbandonati in onore di una stringatissima sintesi e la voglia di attirare l’attenzione di alti prelati da parte di Luciana Littizzetto, col suo richiamo e la sua scostumatezza abituali: “Eminenz!”.

La rubrica di Enrico Vaime, Trafficando…, estremamente radiofonica e boncompagnesca, dimostra che forse è troppo tardi, per lui, per dedicarsi alla sua età alla parodia del telegiornale, come se fosse un Rocco Tanica qualunque (beninteso, grandissimo musicista, Rocco). Con l’ulteriore difetto, del resto, che quella di Enrico è molto spesso una parodia molto, molto seriosa.

Gaia Tortora accoglie poi gli ospiti delle puntate, puntando molto sul look & feel delle telegiornaliste di alto bordo, quasi a livello Tg2, quelle coi forum Internet dedicati. E’ chiaramente fin troppo equilibrata e brava per farlo, ma lo fa comunque bene, e non le manca niente per entrare a sua volta nei sogni del potere d’acquisto del sultanato del Brunei, oppure restare a La7 e diventare una delle migliori del suo campo. Sa aiutare Capezzone a prendersi di nuovo sul serio, come forse merita, e Tabacci a sorridere di più alle camere, con la stessa identica voglia di lavorare che non le si stacca di dosso nemmeno quando il suo titolista le fa trovare in sovrimpressione sforzi del calibro di “Romano e suoi Prodi”. Ma quanto ci manca Antonello Piroso, in queste occasioni, lo sa solo Antonio Campo Dall’Orto.

mercoledì 16 gennaio 2008

Little Britain, un programma consigliato ai giovani

(in edicola il 15 gennaio 2008)

Little Britain (MTV, ogni domenica, ore 23), col doppio vantaggio di essere una serie molto interessante e non doppiata in italiano (ma solo ben sottotitolata, cosa che farà bene a più di una dizione, visto che, fra l’altro, l’inglese che parlano i suoi personaggi è quello britannico), è un programma che consigliamo a tutti i giovani fuori e dentro che siano stanchi di avere come primo referente per la rappresentazione della tarda adolescenza Maria De Filippi, e Maurizio Costanzo per la tardissima. È uno dei programmi televisivi trasmessi in Italia meno corretti politicamente dai tempi, forse, di Cinico Tv di Ciprì e Maresco, che riposino in pace nel loro semi oblio, cui di tanto in tanto li tira fuori un qualche omaggio meritevolissimo. Su alcuni temi, come l’accettazione delle possibili diversità anche nelle società apparentemente più evolute, ha toni da South Park, ma tutt’altra profondità, creata forse dal fatto che chi, in fondo, dice tutte queste parolacce, stavolta è una persona in carne ed ossa, che somiglia tanto di più di un cartone animato a chi, quelle parolacce, è costretto dalla realtà a dirle davvero.

L’obbiettivo di Skins è dunque raccontare la vita di un gruppo di giovani inglesi (e dunque di qualcosa di molto, molto simile a un gruppo di giovani globali), alle prese con il loro più grande problema: avere il diritto di fare quanti più errori riescano in una puntata e, beninteso, senza per questo avere per un solo sottofinale il tempo di correre troppo ai ripari. Ogni puntata è costituita da una serie di sketch, con personaggi ricorrenti, ognuno dalla forte personalità e col suo corredo di battute tipiche e cavalli di battaglia. Dire che a volte gli sketch si avvicinino a un ricordo, sebbene attualizzato, dei Monty Python, lo sentiamo a fior di labbra per una buona parte della loro durata. Come tutti gli show televisivi che deriva più o meno del tutto da uno show radiofonico, Little Britain è scritto con l’attenzione per i dettagli e le ambientazioni con cui, ormai, si realizzano palinsesti interi sui canali generalisti italiani, e anche per qualche anno. Dove più eccelle il grande lavoro di squadra dietro Little Britain è nella rappresentazione dell’omosessualità. Gli sceneggiatori sono in grado di andare così di fino e di complesso, che sanno metter su un finto matrimonio lesbico in una casa di matti, in cui una delle due spose chiede a un gay dichiaratissimo (di tipo Village People) di aiutarle ad adottare un bambino, fingendosi il compagno di una di esse.

Suscitando così l’indignazione del gay (omosessuale conservatore), che le accusa di essere “due lesbiche”, aggiungendo che “non è giusto che alleviate bambini”. La sua conversione verso la latente normalità, che è il vero capolavoro comico della puntata di domenica (quella di cui stiamo parlando) è quando sostiene che una delle ragazze a fare da damigelle alle due sia troppo carina per essere lesbica, da cui viene insultato, per finire poi per uscire di casa sbattendo la porta, affermando che la casa di matti in questione sia un posto troppo omofobico per lui. Da domenica prossima, al termine della puntata di Little Britain, prenderà ad andare in onda anche l’attesa serie Skins, sempre dal Regno Unito, con molta volontà di essere una versione adolescenziale, e più “seriale in senso stretto”, del successo del programma di Matt Lucas e David Williams.

lunedì 14 gennaio 2008

Blob Pao & Lino, il clou del trash nelle dis/cariche

(in edicola sabato 12 gennaio 2008)

Le puntate di Blob firmate dalla coppia Pao & Lino hanno un sapore tutto loro. Innanzitutto perché sono leggermente eretiche rispetto ai comandamenti del classico montaggio da Blob. La critica, le idee espresse nel taglio di una sequenza, non si basano solo sull’accostamento di scene di film o spezzoni di tv, che pesino sulla nostra immaginazione come macigni da spostare con l’analogia o il contrasto, come del resto si formano tutte le bellezze e le bruttezze che si possano concepire. Insomma, di solito Blob, in soldoni, propone Kapò e poi Berlusconi (oppure Berlusconi che prova a co-produrre Kapò, al parlamento europeo, ma questa è un’altra storia). O ancora Prodi che va in bicicletta, e una fiction su Bartali. C’è da dire che spesso le similitudini sono più divertenti o profond di quelle che abbiamo esemplificato, ma questo deve essere uno dei motivi per cui non siamo ancora autori di Blob anche noi.

Pao & Lino, rispettando quel piccolo manifesto poetico che è nel loro nome de plume dualistico e serrato, invece, amano riempire di significati anche pochi secondi di tre, quattro, cinque eventi mediatici, e giocare con loro nelle infinite direzioni che possono prendere i nostri volti nel tentare di seguirle, staccando ogni pochi secondi una realtà dal suo capovolgimento, o viceversa, senza esclusione di colpi. E’ una sparatoria in difesa della televisione – o contro di essa – talmente forte che non si può ripetere tutti i giorni, e neanche per tutta la puntata ma, quando arriva, la attendevamo. Quella di questo mercoledì si intitola Dis/cariche (e, certo, giunge presto il momento in cui potreste cominciare a pensare che Pao & Lino giochino molto con la tabelle dei simboli di word, ma del resto è coerente, perché nel suo corso il pattume si alterna alla polizia che affronta la folla, che affronta la spazzatura).

I momenti clou di Dis/cariche sono senza dubbio quello meraviglioso in cui, dopo una scena del Monnezza-Milian e una della vera immondizia campana, gli autori mostrano Raffaella Carrà ospite a Bombay di Boncompagni, che urla davanti a un grosso topo finto che il suo pigmalione agita davanti al caschetto di lei, ancora biondo e tanto, tanto impaurito. Forse, la seconda parte della puntata, è poi un po’ scontata. Ma forse possiamo perdonare, tanto sono cruente le immagini di rivolta che provengono da Quarto Flegreo, e tanto fa sempre sensazione temere un attacco epilettico davanti al contrasto fra i capelli di Michela Vittoria Brambilla sullo schermo blu col logo di Porta a Porta, e poi dimenticare tutto. In sostanza, Pao & Lino concludono il loro compito mostrandoci brani del trash, della spazzatura televisiva proveniente dai primi giorni di questa settimana. E quindi la Brambilla con autoreggenti da Vespa, appunto.

Lo stesso Prodi che legge un comunicato stampa sull’emergenza rifiuti, ed è come se parlasse, solo un po’ peggio. E infine l’immncabile Claudia Koll che parla della sua fede cattolica (fra l’altro, pare che ora insegni anche in una scuola di spettacolo sulla falsariga di Amici di Maria De Filippi retta dalle Orsoline, e non è una battuta). Aspettiamo sempre un Blob Pao & Lino che mantenga il livello dei primi cinque minuti per tutta la sua durata.

venerdì 11 gennaio 2008

Dagli Usa Ballarò alla ricerca delle diversità



(in edicola il 10 gennaio 2008)

Solo per la qualità dei servizi in esterna, la puntata di Ballarò di questa settimana merita di essere ricordata come una delle più memorabili della stagione, anche se è dedicata ai sistemi elettorali e in una certa parte al problema dei rifiuti in Campania, probabilmente gli uni come metafora dell’altro. E’ innanzitutto affascinante notare come ancora una volta, come sempre nella trasmissione di Giovanni Floris, il dialogo fra diretta in studio ed rvm fuori sia serrato e sempre originale. Questa volta, si tratta di far notare le differenze fra noi e l’America. Finché di una tema così se ne può occupare anche Floris (e non solo Crozza e i vari comici dell’assurdo, un giorno che le differenze saranno finite), ne possiamo parlare a nostra volta con un certo sollievo. Indimenticabile la scena in cui un giovane repubblicano si converte davanti al solito pubblico delle grandi occasioni, in qualche centro congressi dell’Iowa. Metà del pubblico sono donne che gridano in estasi come se Benny Hinn il predicatore a televisivo avesse guarito Umberto Galimberti (che, del resto, è ospite in collegamento) dalla somiglianza con il comico anni ‘80 Enrico Beruschi.

L’altrà metà lo saluta distrattamente sollevata e un po’ rassegnata, come quando degli alcolisti anonimi ti accolgono tutti con lo stesso saluto e sorriso, quando ti presenti per la prima volta, almeno nei film. Riguardo a Galimberti, ricordiamo come una sorta di doppio consiglio materno tardivo o immaginario – in ciascuno dei due casi non ci è stato purtroppo dato in tempo – come forse bisognerebbe sempre diffidare di un filosofo che accetta che il suo titolo da titolo sottopancia sia effettivamente “filosofo”. E’ qualcosa che da tempo anche Massimo Cacciari rifiuta puntualmente. Avremmo capito anche maestro di vita, guaritore, giornalista. La seconda parte del consiglio è di diffidare da chi si definisca filosofo e somigli moltissimo a Enrico Beruschi, anche nell’accento. Cesare Salvi, a modo suo, molto civilmente, ha capito tutto e ride pochissimo. Un muro più amaro del solito, fa da scenografia alla puntata: due topini-pubblico che osservano le rovine della televisione per come la conosciamo, rappresentata sottoforma di rifiuti tecnologici (monitor, parabole) che riempiono una discarica in cui i due non pensano neanche per tutto il formaggio del mondo (ce ne fosse!) di soffermarsi.

Mentre, sulla sinistra, continuano ad arrivare nuovi rifiuti, ancora più à la page dei televisori: sacchi pieni di euro, un uomo intero in giacca e cravatta, una bilancia rotta, antico simbolo dell’ingiustizia. Invece Maurizio Crozza, cui è affidata l’apertura della puntata, è un po’ sotto la sua media, e si esibisce nel tipico lato oscuro della sua comicità: svarioni di francesismi sul tema del paragone fra Sarkozy e Prodi che fanno ridere solo l’educatissimo Enrico Letta, anche perché viene prima nominato da Crozza e poi inquadrato puntualmente dalle telecamere. Un uomo in maglione brilla nel parterre, ospite come gli altri, ma non ha nemmeno un maglione colorato strano alla Crepet che, pure, basterebbe a sconvolgere sempre Vespa: si dice sia un vero sindacalista, si chiama Raffaele Bonanni e speriamo che a Ballarò resti come ospite fisso un po’ alla Tremonti dei vecchi tempi.

giovedì 10 gennaio 2008

Tvblog, il riferimento delle libere idee



(in edicola il 9 gennaio 2008, anticipazioni e commenti qui)

Chi si occupi di televisione da spettatore semi-professionista, quanto da critico amatore (figure che arrivano facilmente a coincidere nell’80% degli italiani), è almeno un anno e mezzo che non può fare a meno di occuparsi, di tanto in tanto, anche di www.tvblog.it, probabilmente uno dei blog più letti in Italia, e sicuramente quello più influente sul tema della tv.Viene tenuto in vita, post dopo post, commento dopo commento, dai giovani editori online di Blogo.it, insieme a una collana molto ben nutrita di altri blog tematici su tutto il postabile, range di argomenti che spesso si trova a superare di gran lunga il tradizionale scibile umano. Per alcuni lettori, non è altro che uno dei pochi modi davvero efficaci di poter parlare di uno dei quindici programmi realmente inguardabili, senza averlo mai visto, ma dando addirittura l’impressione di averlo cominciato a vedere e aver poi cambiato immediatamente canale, ma con cognizione di causa. Per gli altri, la maggior parte dei lettori, a dire il vero, TvBlog è diventato ben presto un vero punto di riferimento per leggere idee libere e spesso argomentate su temi che avrebbero paura a trattare anche parlandone con un animale domestico di piccola taglia o media taglia.

Fra i tanti, tre sono i collaboratori di cui questo blog che tutta Europa ci invidierebbe, se sapesse l’italiano, può concretamente vantarsi: il grande Italo Moscati, Francesca Camerino. Moscati – a dispetto del fatto che, per il suo ovvio prestigio di sceneggiatore, autore, scrittore di lungo corso – è l’unico dei blogger che può permettersi di postare gli articoli meno formattati in assoluto: spazi di troppo, assenza di punteggiatura o punteggiatura folle, e non ricevere neanche un commento perfido a riguardo, nemmeno dall’utenza più perditempo, la stessa che riprende i poveri comuni mortali fra i collaboratori dello stesso blog quando sbagliano un segno vocalico nel nome di una candidata velina, pure se data per spacciata. Nonostante questo, Moscati riesce a produrre delle immagini letterarie molto suggestive o originali sulla decadenza della televisione italiana, di quelle che lasciano il segno e dopo le quali andrebbe quantomeno raccomandato a tutti di non cercare di ripeterle in casa propria. Ultimamente, ha colpito molto quella più intensa del post di Natale: “Insomma, la stagione degli escrementi non finisce. I ventilatori funzionano a pieno regime anche se fa fredduccio".

La materia si sparge, schizza, arriva dovunque, affiora orgogliando da ogni parte, i water esplodono dentro il piccolo schermo”. Francesca Camerino, invece, stupisce in senso del tutto buono, senza equivoci: è forse una delle più competenti, puntuali e attive blogger italiane in materia di cartoni animati televisivi. Appassionatissima anche di marchandising legato alle varie serie animate di cui scrive, è una delle letture must anche su uno dei blog più perversi di Blogo: www.toysblog.it, dedicato interamente a notizie e recensioni su giocattoli. Una menzione d’onore a Massy il vignettista, uno degli ultimi arrivati nella squadra, ma già apprezzatissimo per la rapidità con cui tocca il cuore della tv con pochi tratti e ancora meno parole, e una di perplessità all’angolo di Malaparte, la raccolta degli editoriali del fondatore del blog. Molti “direttori” hanno spesso il dovere di rinunciare a parte della loro personalità, per valorizzare il lavoro di squadra. Ma quando è troppo, è troppo.

lunedì 7 gennaio 2008

Stop a Parla con me? Speriamo sia una bufala



(in edicola il 22 dicembre 2007)

Quello che riguarda la fine anticipata delle trasmissioni di “Parla con lei” - dopo la puntata del 16 dicembre - e di conseguenza di una certa parte della Serena Dandini televisiva (quella che più apprezziamo, non solo come spalla-autrice, ma anche come conduttrice di se stessa), è l’altro rumour che non avremmo voluto sentire, quest’anno, dopo la notizia della chiusura del Teatro Ambra Jovinelli di Roma, per come la stessa Dandini lo aveva reinventato e gestito per anni. Si è subito rivelato ampiamente falso.Il peggiore, di gran lunga, è naturalmente quello sulla possibilità di una stretta collaborazione, e per giunta domenicale, fra Dandini e Simona Ventura, e magari proprio frutto di una possibile, ma scongiurata, sospensione della trasmissione di Rai Tre. Il fatto che in particolare questo secondo “sentito dire” non sia mai neanche una volta stato smentito, ci fa concretamente sperare che anche in questo caso si tratti di un’invenzione totale. Un buon programma come questo, può durare anni ancora, continuando ad essere relativamente non solo al passo, ma anche avanti coi suoi tempi.

In qualche caso, più che buono, è ottimo: basti ricordare l’intervista doppia a Carlo Verdone e Silvio Muccino, che riuscì in un solo colpo a farci parzialmente riabilitare Muccino e a mostrarci in atto la leggendaria ipocondria di Verdone. Non toglieteci una Dandini che si è slegata, parrebbe ormai in maniera del tutto definitiva, dal solito ruolo dell’autrice che, per comparire in scena, deve parere goffa, un po’ secchiona, al limite benpensante e comunque goffa, come un albatro su un ponte di nave o – fatte le dovute proporzioni – una colomba in una piazza d’armi, com’è la televisione italiana. Una disturbatrice che, insomma, per poter disturbare, deve continuamente, retoricamente proporre il silenzio o, peggio, la retta via, al comico “irregolare” che occupa tutto il resto della scena. Un piccolo classico, ma che può stancare alla lunga. Parla con lei ha dimostrato, nel corse delle edizioni, che invece quella comicità, prodotto sì di qualche istante di pure genio e intuizione, ma affidato a qualche esecutore (anche quando quel genio si chiama Corrado Guzzanti, beninteso, e quindi diciamo tutto questo un po’ più controvoglia) si può diluire, ammaestrare e distribuire nel corso di un’intera intervista a un politico, a un attore, a un regista, ad esempio. E non per questo perdere di fascino o di irrealismo, se la comicità è anche questo, e lo è senz’altro.

Ma senza perdere, qualche volta, l’occasione di adattarsi alla realtà, per una volta senza scimmiottarla. Questo programma, se pure fosse mai in qualche modo sospeso, continuerebbe ad avere un grande merito: in fondo, quello di non essere stato adatto a questi tempi terribili – come parecchi illustri suoi colleghi hanno saputo dimostrare sulla loro pelle contrattuale - per la televisione e per la maggior parte delle restanti vie per l’espressione dei talenti italiani, in Italia, per vie che un tempo si sarebbero definite “artistiche”, ma che ora possiamo dire anche solo “autentiche”. Le quali due parole , che non sono quasi mai state sinonimo, oggi, che da Maria De Filippi si fingono anche i preliminari.

“Bam’s Unholy Union”: skateboard, rap e sextape




(in edicola il 21 dicembre 2007)

Ennesimo reality show sottotitolato malissimo su MTV Italia (il mercoledì, a mezzanotte), con una marcia in più dal punto di vista del piglio e dell’originalità generale, però. Si chiama “Bam’s Unholy Union” e racconta delle disavventure che conducono al matrimonio dello skateboarder professionista Bam Margera, ambientate in Pennsylvania e tutte realmente accadute mentre si girava. Il che naturalmente non vuol dire anche che si girasse mentre accadevano. La differenza fra i due concetti non è neppure troppo sottile, ed è la chiave di volta della maggior parte dei reality imparentati con questo. Basti pensare che si attende a momenti l’annuncio di una gravidanza da parte di Melissa – la donna che Bam sposerà in una delle ultime puntate – perché si possa annunciare anche l’avvio della preproduzione per una seconda stagione dello show. Bam’s Unholy Union (“Il non-sacro vincolo di Bam”, in italiano letterale) è chiaramente un mix fra tutti i rappresentanti del sottogenere cui fa capo che l’hanno preceduto – soprattutto citazioni a piene mani da “The Fabulous Life of..”, la rubrica che fa i conti in tasca alle star, e dagli Osbournes, il diario della vita del musicista leader dei Black Sabbath.

Solo che quanto avviene nelle stanze di Bam, molto spesso, è tutt’altro che favoloso (la contaminazione col genere del “sextape”, il tipico filmino porno amatoriale rubato ai vip, è fortissima, e sarebbe totale se non ci si limitasse a una sorta di backstage di preparazione a molte scene clou). E soprattutto è così poco favoloso, anche prima di dire il fatidico sì che, preso nel suo insieme, questo reality è uno degli spot antimatrimoniali più riusciti dai tempi di Ricordati di me di Gabriele Muccino. Come in una sorta di “Promessi sposi” postmoderno, in cui don Rodrigo è lo stesso Renzo, crudele con la sua Melissa neanche fosse un buono e un cattivo al prezzo di uno (salvo poi effondersi in dolcezze da video rap, all’occorrenza); e la peste è la stessa voglia di apparire, di mostrarsi al peggio di come si possa mai immaginare di essere, anche quando in materia di “peggio” si parte molto avvantaggiati, come la biografia di Mab sul sito di MTV lascia intendere. Interessantissima la sigla, in cui i due anelli nuziali, in linea con la filosofia del programma, è presentato decorato di una pietra preziosa a forma di teschio, presagio quantomeno di forte riduzione della libertà personale da parte dei coniugi.

Quando i due fidanzati non sono insieme per tatuarsi marchi di proprietà sentimentale sull’interno del labbro inferiore, l’uno trascorre alcune ore di relax con compagni di merende guerrafondai, scagliando armi da lancio contro fantocci che rappresentano - nella maniera più realistica possibile - immaginari spogliarellisti presenti alla festa di addio al nubilato di Melissa. Al termine del rito, Bam pianta una freccia nel cuore dei pupazzi urlando: “Non provare a farti la mia donna”. La Lucia nordamericana, nel frattempo, sorseggia tè con le amiche del cuore, chiedendosi in quale bordello il futuro sposo ambienterà il suo, di party. E stila una lista delle sue preferenze. Il tutto è da prendere con molto filosofia, ma se è importando show come questo che il nostro paese giungerà all’indipendenza da pregiudizi secolari e tradizioni obsolete, anche sui sentimenti più spontanei che si conoscano, un giorno forse potremo dire che ne è valsa la pena.