mercoledì 19 dicembre 2007

Un karaoke senza gobbo E ora chi fermerà Pupo?



(in edicola il 18 dicembre 2007)

“Chi fermerà la musica?”, condotto da Pupo nell’edizione italiana, è un game-show basato su un format americano di largo successo (The singing bee – L’ape canterina, di cui è pronta perfino una versione islandese) e su un’idea che pure solo dieci anni fa sarebbe stata allontanata con fare sdegnoso anche dal più becero dei capistruttura, ed invece oggi pare che si possa gridare al miracolo per quanto pare ingegnosa e originale. Tali sono i mali tempi che corrono. Si tratta di un karaoke senza gobbo (il testo che di norma scorre su un monitor o su carta per comunicare ai conduttori i nomi di battesimo dei loro migliori amici ospiti in studio, quando stare zitti che senza dire: “stare zitti”, e altre astuzie). Più che umiliare i concorrenti per la scarsezza delle performance canore in sé, dunque, lo scopo principale di “Chi fermerà la musica” è umiliarli per la scarsezza di memoria, nel tentativo ricordare i testi di canzoni anche notissime o bruttissime, mentre le cantano il peggio possibile, con la scusa della buona memoria. Il tutto, condotto da Pupo e animato da una serie infinita di occasioni in cui Pupo stesso, come in una mastodontica excusatio non petita, ripete e se stesso e al suo pubblico che il gioco è rivoluzionario e si basa sulla memoria dei concorrenti, come se avesse paura di dimenticarlo.

Questo programma è insomma un Furore (il vecchio capostipite dei game-show musicali italiani, condotto dal dimenticato Alessandro Greco) degli anni 2000: con molto più reality, e solo uno dei tanti giochini di un tempo, ma elevato a unica ragion d’essere ludica, drammatica e scenica di tutto l’impianto del programma. Insomma, qualcosa di volto al minimo dispendio di idee e di tempi realizzativi (soprattutto perché sotto format).

Nonostante questo, le ballerine sono in forma almeno quanto quelle di Artù, il nuovo programma di Gene Gnocchi, la vera rivelazione di questa stagione in fatto di talent scouting di fanciulle. Altra nota positiva, nello sconcerto generale, il ritorno di un personaggio sempre sopra le righe, fuori e dentro il sistema televisivo: il vecchio direttore delle orchestrine di Maurizio Costanzo, Demo Morselli. Colui che non ebbe paura di dotare il suo vecchio impresario di un sassofono finto da suonare facendo ondeggiare il corpo, qui è sempre un cipiglio, una smorfia, un sorriso più avanti di tutto il resto. Perfino delle sezioni più frondiste e indisciplinate del pubblico, le stesse che fingono di sapere tutti i testi proposti ai concorrenti nel tipico, primo playback che si impara coi canti al catechismo: “Uno, due, tre; uno, due, tre”. Sappiamo che Demo non crede a una parola di quello che si dice al di là dello spazio dell’orchestra (e forse neanche del tutto all’orchestra stessa che gli è stata consegnata), ma continua imperterrito il suo ruolo di capellone addomesticato, di buon musicista con pelo anche sullo stomaco, che non ha neanche il tempo di dirsi “che si deve fare per campare”, perché una nuova base in scaletta incalza, e non è necessariamente un male dimenticarsene una volta ancora.

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