lunedì 3 dicembre 2007

Scorie, il dopo-reality più infelice di sempre



(in edicola il 30 novembre 2007)

“Scorie dell’Isola dei Famosi” è un dopo-reality che riesce decisamente male nel suo compito di promuovere la trasmissione della Ventura, di cui vorrebbe essere nient’altro che il programma critico-parassita benigno. Eppure è condotto da Nicola Savino, uno dei personaggi radiofonici (ma anche autore televisivo: fra i primi a firmare Le Iene) più prolifici e in voga, almeno fino a qualche mese fa, quando evidentemente decise di fare un passo più lungo delle gambe del suo collaboratore più stretto: Digei Angelo, e di darsi alla conduzione più concretamente. Dopo essere stato, per diverso tempo, l’Emanuela Folliero di Sky Cinema.
Di programmi-satellite di reality, come finta parodia a basso costo di una trasmissione di grande successo, che però sia fonte di coda di paglia qualitativa presso i dirigenti di rete, ne abbiamo visti e apprezzati parecchi, anche grazie a monumenti apripista di questo sottogenere come Mai dire Grande Fratello o le edizioni successive alla prima di veri, interi reality-show come La talpa e via dicendo.

Un programma così ha prima di tutto il compito di mimetizzarsi efficacemente nel palinsesto di riferimento, magari collocandosi su un canale diverso dello stesso network, e in altri giorni e orari rispetto al programma da mungere. In secondo luogo, il parassita benigno ed efficace trae la sua ragion d’essere nel fatto che deve intrattenere ed educare una categoria di pubblico che non vedrebbe mai il programma-vacca (ma non già perché non gli piacerebbe comunque molto vederlo, ma per motivi di obiezione di coscienza), e di giustificare così la sua successiva, probabile conversione al reality in questione attraverso la convinzione di contribuire, a sua volta, alla rovina dello stesso, attraverso il senso dell’umorismo che si convince di usare da par suo. In ultima analisi, un programma di questo sottogenere deve fare divertire moltissimo tutti gli altri spettatori, che non lo guardino né per crisi ideologiche né perché guardano già la vacca. Scorie di Nicola Savino non riesce in nessuno di questi tre obiettivi.

1) Perché viene trasmesso subito dopo l’Isola, dopo un lancio ufficiale da parte della stessa Ventura (e addirittura, nell’ultima puntata di questa stagione, mercoledì, lanciato anche dai suoi stessi autori e lavoranti vari, che si sono gettati all’inseguimento dell’Ape di DJ Francesco, recando dei cartelli alla Gabriele Paolini, ma più fastidiosi, recanti la scritta: “Dopo l’Isola guardate Scorie”). Quindi, niente mimetismo, niente doppiogiochismo: marchetta pura, e per giunta, cosa imperdonabile, a posteriori e a caldo.

2) Perché è evidente che con una collocazione del genere sarà guardato perlopiù da spettatori dell’Isola stessa, che non hanno alcun bisogno di essere indottrinati sulle qualità, o sulla mancanza di esse, di Simona Ventura o di ciascuno dei suoi opinionisti, dal momento che a stento riconoscono la figlia quattordicenne che torna a casa al termine di tutto ciò, senza aver avvertito, forte del doppio appuntamento della madre.

3) Perché non fa ridere affatto. A parte le risate fuori campo anni ottanta, di un pubblico spesso inquadrato, nonostante sia così evidente il fuori sincrono con quelle voci di chissà dove (e quando), che si sbellicano a spese della loro deontologia di figuranti. Perché divertire, per Digei Angelo, significa fingersi in collegamento via auricolare alla Boncompagni e Ambra, e suggerirle di maltrattare Cecchi Paone, mentre guardiamo un fuori onda forse addirittura non concordato. O al massimo giocare a fare la voce della coscienza di Cristiano Malgioglio, non solo imitandolo malissimo, ma soprattutto come se ne potesse realmente avere una.

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