martedì 16 ottobre 2007

Il cavallo di Troia dell’astuto Fabio Fazio

(in edicola il 16 ottobre 2007)

Che tempo che fa (in onda su Rai Tre il sabato e la domenica) nacque davvero come un programma che avrebbe dovuto parlare quasi solo di meteorologia. E, per un po’, lo fece sul serio, per quanto allegramente e approfonditamente; dapprima senza neanche metaforizzare troppo un tema – il tempo – che, almeno all’inizio, altro non era che una brillantissima operazione di disonestà intellettuale.

Era quasi l’ammissione, a denti stretti, di aver scelto quello stesso titolo-battuta per non sapere come altrimenti attaccare bottone con degli spettatori traditi e perduti, da parte di un Fabio Fazio a sua volta tradito dal nuovo network la7. Unita a una critica malcelata ai talk-show lunghi, generalisti e fatti male – segnatamente quelli, interminabili, della domenica che, invece, molto spesso, potendo parlare di tutto, finiscono per non parlare di niente e soprattutto non riuscire ad ammetterlo neanche sotto tortura.

Insomma, il punto è che ad averne la stoffa, anche solo col parlare del tempo, come sanno benissimo gli inglesi, il cui humour si innesta chiaramente su quello non solo ligure di Fazio, si rischia di fare un programma televisivo valido e durevole.
Fino ad oggi, difatti, di edizione in riedizione, questa ottima trasmissione ha saputo dare fuoco al palinsesto di Rai Tre con la stessa astuzia con cui il cavallo di Troia fece con quella cittadella sonnolenta.

Lo show è passato attraverso abbastanza stadi evolutivi da risultare ora – dopo la fase solo comica, e dopo quella solo noiosa – un autentico caso di piccolo varietà di una sola ora e mezza: quasi noncurante del suo momento talk, che pure è bellissimo e spesso ospita personalità che mai andrebbero altrove, in televisione; e al tempo stesso molto fiero del suo lato B da cabaret di alto profilo, che pure qualche volta sbaglia in durata e scelta dei temi.
La puntata di domenica, ad esempio, ha avuto come ospiti nientemeno che Johnny Hallyday ed Eugenio Scalfari, ed è riuscita in due imprese difficilissime: a farci vedere il coté quasi simpatico dell’uno, e a parlare seriamente di primarie con l’altro.

Forse stanca solo un poco, come volevamo dimostrare, proprio lo spazio ormai affidato da tradizione a Luciana Littizzetto in leggings, che continua a eseguire per un’altra stagione i suoi due principali cavalli di battaglia: fare l’elenco delle inadeguatezze fisiche e mentali di Fazio rispetto ai personaggi che intervista, e l’operazione culturale di dissacrare la poltrona dell’intervistato, muovendo parecchio le gambe e i piedi su e giù per la scrivania del conduttore.
Fortuna che quest’anno, nella grafica del principale titolo di testa, quello col nome della trasmissione (ma che poi fa da sipario virtuale agli stacchi pubblicitari) c’è un’apparente minuzia, in realtà geniale.

Il titolo è un finto gobbo, invece che occultato, in sovrimpressione che, al posto di dettare legge su cosa dire o fare sulla scena, si limita a ripetere, riga dopo riga, nient’altro che quel “che tempo che fa”, come un memento tanto dell’idea originale alla base di tutto, quanto della grande libertà da un copione che ci si può concedere quando se ne ha l’intelligenza e, soprattutto, il tempo.

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