lunedì 15 ottobre 2007

Santoro versione camomilla. Era meglio quando si stava peggio?

(in edicola il 13 ottobre 2007)

Questa settimana, la puntata di Annozero parla di semplici reati di allarme sociale: accattonaggio, abusivismo, vandalismo, guida in stato di ebbrezza. Quasi un giovedì sera rilassante. Ciò, non solo visto quanto effettivamente brutali siano state le due precedenti, dedicate al tema delle minacce di andarsene dallo studio da parte di Mastella, ma soprattutto considerato che i momenti più drammatici di questa ultima sono stati due: quando abbiamo scoperto che Di Pietro avrebbe parlato; e, qualche quarto d’ora dopo, quando abbiamo capito cosa avesse detto e che avesse ragione.

Lo stesso reportage di Ruotolo non ha presentato particolari difetti di pronuncia da parte da parte degli intervistati, né errori di montatore che distogliessero l’attenzione dalla semplice povertà di contenuto delle idee espresse dai cattolicissimi bolognesi in ansia per la nuova moschea, né tantomeno da quanto poco si potesse, onestamente, commentarle.
Una Borromeo particolarmente in forma mentale, del resto, non ha aiutato. Sappiamo da tempo come si svolgono le sue puntate di Santoro. Alternativamente, di giovedì in giovedì, deve decidere fra il broncio bella-ma-avveduta, o il cipiglio nobile-ma-impegnata. Stavolta le è parso il caso di depistarci, seminando il panico, mentre alimentava sospetti di ghigno giovane-ma-sfiduciata. L’intervista alla graffitara ha ristabilito l’ordine costituito.

Per il resto, ovunque una civiltà, un rispetto, una documentarietà dei servizi in esterna e delle sopracciglia di Francesco Storace, in studio, tali che, a tratti, qualcosa ci fa temere davvero di trovarci a una puntata speciale di Report, magari commemorativa di qualche anniversario dalla sua prima messa in onda, ma senza Milena Gabanelli e con qualche pezzo di femmina in più.
Quasi i capelli di Santoro paiono più scuri o pettinati, sotto un influsso nuovo. L’obbiettività, quando non serve particolarmente, è quasi un lato oscuro della forza di Michele. Per chi non fosse fan di Guerre Stellari (né di Santoro), leggasi: dopo tutto quanto si è detto da parte del governo contro di lui, era forse meglio quando si stava peggio. Non abbiamo detto si era più oggettivi quando si era soggettivi, ma poco ci manca.

Eppure il perché di tutto questo è semplice, e dietro il cravattino a farfalla di Bruno Tinti (il procuratore aggiunto autore di Toghe rotte) che, per una volta, ruba la scena perfino all’assenza di cravatta di Marco Travaglio, che fra l’altro ne indossa una impeccabile.

Il bello della puntata è proprio questo continuo gioco dei contrari. A un Travaglio quasi accomodante corrisponde un magistrato incazzosissimo che, per il tempo di una grand soirée, opinionista dentro e Gervaso fuori, telegenico com’è, inveisce, argomenta, editorializza, altrimenti fa sgomberare il set.

Insomma, è avvenuto che il Santoro cui siamo abituati, questa volta, sia stato proprio Tinti, come pure, in qualche film di Woody Allen, il regista non compare direttamente, ma lascia a qualcuno che non gli somiglia per niente – il britannico Kenneth Branagh in Celebrity, o il giovanissimo Jason Biggs di Anything Else – il compito di impersonarlo e farne proprio perfino l’eloquio.

Spesso, sempre al cinema, quando si rappresenta una scena di giustizia, gli avvocati sono astutamente metaforizzati sottoforma di attori ad un provino per un ruolo. Chi recita meglio, convince meglio. Rivolgono le loro due interpretazioni di una stessa scena a un giudice di celluloide che, allora, diventa il critico cinematografico della loro causa.

In Annozero di giovedì è stato un giudice a voler provare per quella parte.

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