venerdì 19 ottobre 2007

Quella Squadra così vera senza veline né Big Jim

(in edicola il 19 ottobre 2007)

Giunta all’ottava serie – cifra che fa una certa impressione, e che probabilmente sarà raggiunta solo da Elisa di Rivombrosa, ma a che prezzo in termini di generazioni di figlie, nipoti e pronipoti della contessa originale, e soprattutto di loro corteggiatori capelloni o poco romantici – La squadra (su Rai Tre, il mercoledì in prima serata) si attesta ancora come una delle migliori produzioni nel panorama dei serial italiani. La storia è talmente lunga, verosimile eppure sempre ricca di interesse che un suo semplice riassunto delle puntate precedenti è già di per sé una fiction più credibile e meglio montata dei suoi antipodi storici: Distretto di Polizia o, peggio ancora, Carabinieri di Canale 5. In questa serie, nessuna poliziotta, che sia in ufficio o in prima linea, neanche nei suoi sogni meglio rimossi – che invece parlano di inseguimenti impossibili in alfetta, questori tutti d’un pezzo, camion di mitragliette fuori produzione da confiscare – è Martina Colombari o Alessia Marcuzzi.

Perfino le mogli dei protagonisti sono decisamente nella media, se si considera che una delle più appetibili è la ex-zingara di Rai Uno Cloris Brosca, alcuni anni dopo l’ultima occasione in cui poté vestire solo di un foulard senza il minimo sospetto di poter sembrare fuori posto, e continuare a mescolare delle carte da tarocco e conversare con Pippo Baudo, come se fossero ancora le due cose più naturali del mondo per una grande attrice di teatro napoletana.

Ad esempio, a differenza di Carabinieri, che è girato a Città della Pieve - comune umbro che, fra degli autentici marescialli che vi venissero trasferiti, molti considererebbero alla stregua di un villaggio turistico, e non solo provenendo dalla Sicilia per via della Salerno-Reggio - il set della squadra è nientemeno che a Piscinola, vicino Secondigliano, Napoli. Ma due sono le caratteristiche che rendono la Squadra un prodotto unico, in Italia. Da una parte, i rapidissimi tempi di produzione, che pure lasciano poco spazio all’improvvisazione, permettono spesso di legare gli episodi a casi di cronaca ancora attuali nei giorni della messa in onda, elemento che in Carabinieri era al massimo offerto da qualche sorriso o slancio di affetto in più del personaggio Manuela Arcuri, nei primi giorni in cui si relazionava con uno schermidore di professione.

Dall’altra, le analisi a tutto tondo dei protagonisti come dei comprimari, cui spesso, fra le righe del caso in questione, di puntata in puntata, si dedica la maggior parte del lato “personale” di un episodio, e il notevole dialogo fra la scena del crimine (per dirla alla C.S.I.) e il possibile dietro lo quinte biografico e morale che la rende non più cinematografica o televisiva, ma più concreta e umana. Un senso del realismo che, fra l’altro, rese possibile alla produzione una collaborazione con la vera Polizia di Stato per uno spot anti-botti di capodanno. Il fatto che tale spot fosse fra l’altro tristissimo, non è altro che un indice proprio del livello verosimiglianza raggiunto.

I trenta secondi mostravano un capannone apparentemente in preda a esplosioni incontrollate di bengala e bombe carta, che si rivela, all’ispezione da parte di agenti tratti dalla fiction, occupato da loro colleghi, alcuni reali, perché attori, e altri ideali, perché veri poliziotti, e nemmeno in borghese, intenti a suonare trombe e batterie in maniera coscientemente criminosa, ma tanto felici di quel dopolavoro inaspettato.

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