mercoledì 31 ottobre 2007

Le piacevoli invasioni di Daria la sgobbona

(in edicola il 30 ottobre 2007)

Daria Bignardi, se non andiamo errati, da almeno tre anni fa le migliori interviste televisive del momento, che sono un modello di equilibrio. Ad esempio, se lei fosse anche solo parecchio più fisicata, finirebbe presto per sconfinare nella categoria Ilaria D’Amico. Ma non lo è. Certo, se fosse stata ancora più letterata, forse non l’avreste scambiata per Philippe Daverio, ma la cosa avrebbe comunque complicato le trattative segrete che portarono all’intervista a Barbara Berlusconi. Le Invasioni barbariche (la7, il venerdì, 21.30), si mantengono così sempre piacevoli, ma significative. Il fatto è che Daria ha dalla sua la fortuna di non essere altro che la versione televisiva di una rara varietà di compagna di classe, ora in disuso, ma piuttosto diffusa fino a qualche vita fa: la sgobbona fattibile. Una varietà che presenta, rispetto agli altri esemplari della sua specie, dei chiari vantaggi che spesso le permangono nella vita. Sono belle quanto intelligenti. E chiariamo che con ciò non facciamo alcun riferimento casuale alla celeberrima battuta che Vittorio Sgarbi dedicò a Rosy Bindi.

Quelle compagne sono intoccabili. Dai maschi non-studianti, niente richieste di versioni o suggerimenti: troppo carina per correre il correre di puntare sul cavallo sbagliato, in quelle occasioni, in cui un verbo in più può fare la differenza. Ma nemmeno proposte dai belloni: perché non abbastanza Ilaria D’Amico, e perché troppo colta. In certi momenti, si sa, sono i verbi in meno a contare. Dei rapporti con le femmine, inutile dire. È anche per questo che oggi la Bignardi trascorre felicemente questa vita da mediana, fra la sua via al giornalismo e la vera tv, cioè quella falsa. Al contrario di tante presenze televisive, le luci di studio non scivolano sul suo corpo, perché irreale o ideale; ma ci si fermano con una certa decisione, e disegnano un ritratto degli ospiti che ha di fronte, come specchiati in lei, di domanda in domanda, più riuscito di quello che gli ospiti stessi sappiano dare di sé. Le sue interviste sono quasi tutte interviste doppie malcelate, giacché Daria ha il potere di dare sempre anche una sua risposta ad ogni domanda che pone, e non le riesce affatto male di farlo perfettamente di nascosto: con uno sguardo, un cenno, un’altra domanda che non avrà seguito.

Ha diviso il suo programma in due parti, ma non troppo: perché si alternino e lavino le mani l’una all’altra. Prima un’intervista monografica, spesso interessantissima. Che ci sia Veltroni o Pierfrancesco Favino, sempre la stessa confidenza studiatamente finto-spontanea, che però le deve venire molto naturale, ed è efficacissima con tutti. Poi un mini-talk, e si ricomincia. Non sempre i secondi sono all’altezza delle prime, ma servono a ricordarci quanto lo show sarebbe noioso se fosse solo interessante. La scenografia è apparentemente semplice, come una delle case che quelle compagne di classe si fanno poi arredare. Ma in realtà è studiatissima: tutto deve sembrare fatto da qualcun altro, anche se loro hanno preparato tutto fino all’ultimo raviolo. È una scena attraente ma fredda, che si sa fare angusta, se proprio messi alle strette da una domanda giusta al momento giusto, ma mai infastiditi fino al nervosismo, fino a non rispondere, o far rispondere solo la conduttrice.

Venerdì, dopo Anna Finocchiaro, ha suonato l’orchestra di piazza Vittorio. L’una è stata un capolavoro di integrità, gli altri un abbozzo di multietnicità. Anna che non faceva una piega, nemmeno a chiederle per la terza volta se non avrebbe voluto fare il ministro dell’attuale governo. Piazza Vittorio che faceva acqua, coi suoi orchestrali stereotipati da pubblicità di Oliviero Toscani, in ritardo di vent’anni. Eppure Daria stava in mezzo e dirigeva niente male anche loro, con la sua bacchetta non magica, ma potente come quella di un apprendista stregone che, per una volta, ha davvero studiato.

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