lunedì 29 ottobre 2007

Il realismo di Grey’s Anatomy fa di Dr. House una favoletta

Giovedì sera gran dittico di puntate per Grey’s Anatomy. Il medical-drama, alla sua terza stagione in onda su Italia 1, è ormai da tempo ben oltre il suo più importante merito storico. E non intendiamo con questo merito il fatto che il titolo della serie sia in verità un apprezzamento nei confronti del fisico della sua protagonista. Ma averci fatto comprendere con molti esempi pratici che non importa che mestiere tu faccia e quante vite tu possa salvare o, soprattutto, non salvare in una puntata: avrai sempre tutto il tempo e l’umore necessari per avere una vita sentimentale appagante almeno quanto quella sessuale: cioè, quasi per niente. È questo il punto di realismo che renderà per sempre il Dr. House una favoletta per infermiere, e neanche sotto esame, al confronto con Grey’s. E non le tanto millantate migliori scene chirurgiche, o le diagnosi verosimili di mali realmente esistenti.

Questa terza serie, difatti, è molto incentrata anche sulle storie dei malati, rispetto alle precedenti, con buona pace delle ascoltatrici più affezionate, che una volta scoperto del matrimonio del dottor Shepherd (il capo spirituale dell’ospedale in cui la serie è ambientata, e che nel frattempo, si sa, aveva intrapreso una relazione pure con Meredith, la protagonista), lo hanno subito considerato un segreto di Pulcinella, minimizzando, ma ne vogliono ancora, e non smettono di cercare nuove fedi, al dito di ogni singola comparsa che mostri di non contargliela giusta (mentre, magari, il povero interprete è solo raccomandato o alle prime armi). Il cardiotoracico Burke, dunque, prima di chiedere la mano della dottoressa Cristina davanti a un maratoneta disidratato (perché non si possa poi dire che sia un cardiotoracico senza cuore), potrà ospitare quanti dinner party vorrà nei suoi appartamenti: non ci sarà invito che tenga. In “Great expectations” (meno dickensianamente, in italiano, “Aspettative”), nessuno potrà rubare la scena a una delle più toccanti rappresentazioni della realtà Amish che ci siano date, dai tempi del Testimone con Harrison Ford e Kelly McGillis nel ruolo di una pazza.

Purtroppo, potremo godere della cosa solo una volta superato l’imbarazzo che, ammettiamolo, ha colto una parte del pubblico italiano nel vedere che una ragazza Amish potesse trovarsi in un ospedale (e per giunta nei pressi di un modernissimo monorotaia), perché aveva inizialmente ricordato che Amish che fosse un modo esotico di dire testimoni di Geova, e dunque che non potessero farsi curare normalmente, e tantomeno in televisione. La ragazza in questione finisce per decidere di tornare a casa per i suoi ultimi giorni, rinunciando per sempre al supporto della sua migliore amica, bandita dalla comunità di cui anche lei faceva parte, per il fatto di essere stata battezzata. Naturalmente, è a questo punto che Gorge O’Malley chiede a sua volta la mano di quella che sarebbe la sua collega Callie Torres, se anch’egli avesse passato l’esame. Ancora più drammatico il secondo dei due episodi di giovedì, uno dei più intensi: “Desideri e speranze”. In cui, da una parte, la sfera privata e ormai, assetata di gossip, in una serie che è al terzo anno, arriva a coincidere quanto mai con quella clinica e impegnata, in due punti: con il ricovero della madre di Meredith, purtroppo malata di Alzheimer, e con il contagio di tutti i medici che conosciamo per via di sangue infetto.

Dall’altra, la tensione è stemperata da un padre di famiglia che si presenta in reparto con la figlioletta e un pacco di tampax, chiedendo alla dottoressa Izzie di mostrargli come si usino. E dalla convinzione che ci facciamo, una volta per tutte, del fatto che Gregory House non sarà del tutto malasanità, ma sia puro fantasy rispetto a Meredith Grey.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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