lunedì 28 gennaio 2008

The Agency, per pochi (dis)intenditori

(in edicola il 26 gennaio 2008)

A notte fonda su La7, perché nessuno o quasi possa sapere quanto è fatto male - e quanto meravigliosi e rari siano alcuni filmati girati direttamente dentro alcune vere sedi della CIA - il serial di spionaggio The Agency vive la sua vita italiana, fatta di doppiaggio più che indecente e i soliti pochissimi appassionati costretti a scaricarsela illegalmente, piuttosto che registrarla. Con il solito vantaggio-svantaggio (come si direbbe a ragione di serial inoltrati alla sesta edizione, e già triti alla terza) di non capire che un 10 per cento in più dei dialoghi ad ogni visione. Che nel caso di The Agency, credete, è un rapporto molto più sbilanciato sul vantaggio, per quanto di stagioni ce ne siano state solo due, troncate di netto non da agenti segreti cui si fossero pestate le scarpe con coltellino svizzero integrato, ma quantomeno dal pubblico insoddisfatto.

Il seriale americano prodotto dalla CBS, come anche chi non faccia necessariamente la spia può intuire dal suo titolo, parla di vicende di agenti della Cia, l’agenzia di intelligence americana. A vederlo una prima volta, o anche solo una prima scena, The Agency è soltanto un prodotto male o pessimamente confezionato. La seconda volta è tutto più chiaro: basta intenderlo un prodotto di parodia del genere spionistico, e non sono il risultato è apprezzabile, ma è anche molto comico e godibile. Non siamo ai livelli di Una pallottola spuntata, ma poco ci manca. Quello che stilisticamente funziona meglio, in quest’ottica, è proprio l’importanza esagerata di elementi come fotografia e interpreti, a fronte di una sceneggiatura del tutto demenziale. Il doppiaggio italiano, come spesso accade, estremamente magniloquente e fine dicitore anche quando non ce ne sarebbe alcun bisogno, fa il resto, e vi assicuriamo che è possibile passare almeno un quarto d’ora di insonnia grave in compagnia di finti agenti della Cia e non pentirsene affatto.

Indimenticabili certe aperture di puntata. Un mega proiettore della Cia proietta su un muro segretissimo di sede immagini di falangi, falangine e falangette afgane mozzate. Ognuna con un cartellino ordinatamente legato (al dito, sic). Due su sei dei cartellini appaiono bianchi, quindi o sono capovolti per sbaglio o qualcuno si è dimenticato di scrivere battutacce sui colleghi sceneggiatori, perché comunque sarebbero risultate illeggibili da casa. Un voce da Quark – non ce ne voglia l’ottimo Claudio Capone, che non ha niente a che vedere con la faccenda – espone agli altri agenti in ammirazione: “Dita mutilate. Non siamo in grado di identificare i corpi così. Per questo abbiamo tratto dei campioni di Dna dai parenti viventi di Bin Laden”. Il resto della congrega si guarda dubbioso per qualche secondo utile, affinché il più sveglio di tutti si alzi e pronunci, con voce calda e sexy: “Abbiamo identificato qualcuno?”. “Sfortunatamente no”, risponde il capo. E l’altro: “Allora, perché guardiamo tutte queste dita mutilate?” The Agency è un’enorme interminabile barzelletta sui carabinieri, solo che invece che essere sui carabinieri è sulla Cia. Chapeau!

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