lunedì 21 gennaio 2008

Don Matteo, ritorno (in)aspettato

(in edicola il 19 gennaio 2008)

Puntuale come pochi dolori alla cervicale o molti incubi ricorrenti, ogni anno don Matteo ritorna su Rai Uno, manifestandosi sempre alla domanda: “Si aveva bisogno di un’altra fiction su una forza dell’ordine a scelta”? Sono sei anni che la risposta è “sì, se si tratta di una fiction con una forza dell’ordine a scelta e un prete piacente, con un passato da picchiatore cinematografico con effetti speciali audio raffazzonati”. L’abbandono da parte di Flavio Insinna del ruolo del capitano Anceschi non ha nuociuto quanto speravano i suoi agenti allo sviluppo delle trame della sesta stagione, che è sempre saldamente costituita da placide ingerenze del potere spirituale su quelli esecutivo e giudiziario, e problemi deontologici di agenti donne sotto tono, rispetto alla concorrenza delle carabiniere inarrivabili di Canale 5. Ma il cast femminile, come da tradizione, si rifà prontamente con le suore, in molti casi al livello di un remake di Emmannuelle nera in convento, o su di lì.

Gli intrecci delle puntate non saranno certo mozzafiato, però i validissimi caratteristi e soprattutto i bambini fanno un grande lavoro per i dettagli. L’ouverture della prima puntata - con un gruppo di preadolescenti che, invece di giocare a guardie e ladri, simulando sparatorie, rubano le talari del parroco Matteo e cominciano a inseguirsi per la casa - non ha prezzo in questo momento di difficoltà nei rapporti fra laicità e Chiesa. La diatriba che ne scaturisce, presto risolta fra una suor Maria in stato di grazia e la perpetua Natalina, è una bella pagina di neo-trash. Di quello sincero, e non affettato, come ormai succede sempre più spesso al cinema, con i seguiti di tante commedie amatissime negli anni ’80. Qui il trash non deriva dalla volontà esterna di un produttore, ma dalla reale insicurezza degli sceneggiatori, a gestire un litigio fra una suora-modella indignata e una romanaccia riflessiva, e non gli biasimiamo, per via della certa difficoltà che una simile ambientazione comporta. Per giunta in Umbria!

Spetta al grande Nino Frassica il compito di compensare. Il suo personaggio è uno dei migliori scritti per le fiction poliziesche italiane. E’ l’anello che non tiene fra tanta pompa e circostanza, per dirla alla Edward Elgar. Non c’è un solo momento in cui creda di essere un carabiniere – abbiamo in continuazione paura che possa richiamare a sé il mago Forrest e fargli onorare una bandiera – eppure è sempre il più credibile di tutti, per via di un’umanità che non gli deriva affatto dal non sapere realmente recitare (come succede invece a tanti casi umani nelle produzioni di film per la tv italiana), ma dal saper capire che si trova in una fiction in cui Terence Hill interpreta il parroco di Gubbio. Ancora culto la scena in cui la perpetua Natalina si ritrova nel confessionale un don Matteo che non le scriveva da quindici giorni, di cui pensava di aver perso le tracce.

Lui non fa in tempo ad assolverla, che lei fuoriesce dal confessionale in preda alla gioia e viene sollevata da terra dal religioso, e fatta vorticare per alcuni secondi. L’arrivo di Pippo il sagrestano sulla scena, interpretato come sempre dallo straordinario, sempre felliniano Francesco Scali, restituisce alla terra la moglie rapita dal misticismo, prima che anche solo qualche nuova assoluzione alle intenzioni debba essere pronunciata.

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