giovedì 7 febbraio 2008

Piazza Grande, la tv dei reality

(in edicola il 7 febbraio 2008)

Questa stagione di Piazza Grande - il programma di Michele Guardì famoso perché tutti i conduttori fingono malissimo di starsi simpatici o anche solo di avere un rapporto normale fra di loro – non sarà certamente ricordata per il modo in cui Monica Leofreddi interpreta l’estetica chubby chic. Né, probabilmente, per come Michele Guardì reinventi, per la decima o undicesima volta di seguito, il ruolo che si è ritagliato nello show che dirige e scrive: da mago di Oz piccolo e nascosto, che cerca di incutere timore agli astanti ingigantendo la sua voce con trucchi di scena e, soprattutto, non facendosi mai vedere. In realtà, forse questa stagione di Piazza Grande non sarà ricordata affatto, ma noi vogliamo ricordarla così: come un emblema del peggio della vecchia televisione dell’era pre-reality, contaminata nel vivo dal peggio dell’era del reality, unitamente anche a un pizzico del peggio della televisione del piagnisteo. Forte del suo stile “horror vacui”, per cui ogni spazio lasciato vuoto sullo schermo deve essere occupato da uno o più conduttori canterini o cantanti conduttori o da Fiordaliso, il programma deve vantare davvero un pubblico affezionatissimo e disposto a tutto - anche a vedere quell’uomo di mondo di Giancarlo Magalli spesso schifatissimo della situazione, e simulare attrazione per Silvia Mezzanotte con l’entusiasmo con cui andrebbe dal dentista.

Da qualche giorno, alle 11 del mattino, si comincia con una sezione dello show denominata “Sanremissimo”. Un gioco che non sarebbe piaciuto neanche negli anni ’80 ai fan più motivati di Albano e Romina. Eppure, eccolo lì, che campeggia azzurrino sul mega-monitor alle spalle dei nostri, quel titolo fatto di font a nuvoletta, mentre giustamente il solito Magalli sfotte la Leofreddi per l’acca vanamente troppo aspirata dell’home theatre in palio per noi, e ringrazia Fiordaliso, perfidamente, per l’aver indossato un cinturone con scritto Fiorda sulla fibbia, “in modo da poter sapere qual è il davanti”. Senza Magalli tutto ciò non avrebbe davvero senso, nemmeno come intrattenimento ad alto costo, beninteso. Sul secondo gioco, quello classico con le buste, per intenderci, niente da maledire: è una formula che, dobbiamo ammetterlo, fu geniale e che, per quanto non ringiovanisca, certo non invecchia.
È sempre bellissimo poter vedere allineati tutti quei piccoli premi e premietti, non i mitici, visionari gettoni d’oro tipici di una vecchia Fininvest, ma reali, concreti: anche autoradio, sveglie particolarmente perforanti, insomma tutte cose che potreste già avere o aver rubato nella vostra vita, elencate così con modestia e onestà da ricettatori di sogni di piccolo calibro ma senza troppi rischi di vederli sfumare alla prima interruzione pubblicitaria.

Quel carretto coi premi è davvero uno dei più simboli della televisione di ieri, che può fare a meno per qualche volta delle conquiste furbette o idiote di quella di oggi. Ma il piagnisteo deve pur ritornare, e ci sono purtroppo le interviste coi casi umani a ricordarcelo sempre, fra un gioco e l’altro. E qui non basta la ferma perfidia di Magalli, né il cambio d’abito che dimagrisca della Leofreddi, a vincere una tendenza evidentemente imposta dall’alto, anche da più in alto del “Comitato”. Ma anche solo per quelle radioline, saremo per sempre grati a Michele Guardì e a tutti i conduttori – o almeno quelli non strettamente musicali – del suo programma del mattino.

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