lunedì 25 febbraio 2008

Zodiaco, oltre il pregiudizio

(in edicola il 22 febbraio 2008)

Zodiaco, il film per la tv spiegato ovunque da Antonio Marano come la risposta italiana e torinocentrica a Csi ed Ncis, si è concluso mercoledì, lasciandoci ancora una volta sorpresi per la qualità degli interpreti (anche se non della sceneggiatura, un po’ troppo pedante e didascalica per un soggetto esoterico, para-psicologico come questo) e per come, almeno in questo caso, sia stato facile superare, nella visione, i pregiudizi negativi che spesso generano dichiarazioni di direttori di rete come quelle di cui sopra. Per tacere poi delle conferenze stampa in sale con arazzi. Torino è dunque sempre più la piccola capitale morale del cinema e della fiction, fotogenica ma misteriosa il giusto, come i porticati, come le colline intorno, come la Fiat, alle volte.

Zodiaco racconta di come un serial killer colto - d’altri tempi - passi il tempo ad uccidere secondo un ordine astrologico. In particolare, insegue Ester (Antonia Liskova, la pianista-terrorista de La Meglio Gioventù), figlia naturale mai riconosciuta né conosciuta dal capofamiglia di una “dinasty” di banchieri, che verrà eliminata a poco a poco, fino ad arrivare a lei. Riguardo la produzione, bisogna mettere bene in chiaro che davvero, questa volta, si è rasentato un certo coraggio, nel mandare avanti questo tipo di progetto, retrò, complesso, forse non per tutti, qualora sceneggiato rendendo giustizia al soggetto, come si diceva. Perché il lavoro francese di cui la Rai e la Casanova Entertainment di Luca Barbareschi avevano comprato i diritti per la televisione italiana era pronto per il doppiaggio. Invece, si è tenuto al remake, ambientando il tutto in Piemonte e deamericanizzando il più possibile dei personaggi fin troppo macchiettistici e stereotipati, come soprattutto il super-poliziotto-medio, che da noi è reso da Massimo Poggio, e molto bene.

Forse, proprio per questo, una dirigenza del settore Fiction già potenzialmente sconvolta per la qualità, sulla carta, del prodotto, deve aver cercato irreparabilmente di limitare slanci dialogistici che l’avrebbero resa orfana di pubblico o di nuovi incarichi. E così, purtroppo, inquadrature che abbiamo visto raramente su Rai Due incontrano, ahimé, scambi di battute che invece ascoltiamo ogni giorno, pur resi impeccabilmente, ma mai sovrarecitate, come si dice, e neppure da Vanni Corbellini, qui nel ruolo dell’erede della Dinasty detto Pierre. Per via della camera estremamente mobile, spesso a mano, e anche in momenti istituzionali e codificati per la nostra fiction come nella bella scena della lettura del testamento del capoclan, ci sono poche scene che ci pare di aver già rivisto o anche solo visto, e qui il merito è del regista Eros Puglielli.

Notevoli pure il clima anni ’70 - e le citazioni del cinema di quel tempo - che si respirano ovunque, dalle colluttazioni appositamente approssimative (con annesso sangue raffazzonato), ai bambini che girano in bici, nei parchi, di notte. Insomma, non c’è un solo momento, neanche quando ci troviamo negli interni giorno delle villone di famiglia Santandrea, in cui ci pare essere in una puntata speciale di Cento Vetrine. E, beninteso, c’erano apparentemente pochi motivi per cui una circostanza del genere non dovesse capitare. Per il resto, quando va molto bene, ci sembra di essere in un Dario Argento dimenticato e recitato bene.

Nessun commento: