venerdì 9 novembre 2007

Cosa sarebbe il Ballarò di Floris senza la sua premiata claque?



(in edicola l'8 novembre 2007)

Le cose che ci piacciono di più di Ballarò (sesta edizione, il martedì su Rai Tre in prima serata) sono da sempre il grandioso muro-scenografia e il pubblico. Un tempo, anche quella certa ruvidezza di Floris, quell’intollerenza alla mediocrità e al pressappochismo anche terminologico, da conduttore ancora inesperto di televisione, ma accademico di politica, che preferiva, ogni volta che gli fosse possibile, il più umile e preparato degli ospiti in collegamento, rispetto al potente ministro niente affatto tecnico in studio.
Ora, molto più sciolto e conosciuto, rasenta ormai una conduzione televisiva classica, nei tempi e nei modi dell’esperienza acquisita, ma sempre lungi da certe facili tentazioni di vespismo, che pure un ruolo come il suo devono presentare come allettanti sirene, superate le colonne d’Ercole del successo e di molte pubbliche relazioni. Il programma si apre con una sigla animata che presenta il tema della decorazione della scenografia, e dunque della puntata, realizzata da Lorenzo Terranera, con la puntualità e la presenza di contenuti da vignettista navigato, ma anche la grandiosità di scala da artista a tutto tondo. La sigla altro non è che una sorta di backstage della realizzazione del muro, che sintetizza, dal foglio bianco al colore, i tratti che questo illustratore azzeccatissimo esegue ogni settimana.

Potremmo quasi dedicare un articolo a ogni muro, che comunica da solo più di interi programmi analoghi a Ballarò, concorrenti diretti o separati in casa Rai. Stavolta, tutto comincia con una linea dritta nel mezzo dello schermo, che pare dapprima una strada, che scorra sicura e determinata nel paesaggio che le si va disegnando intorno, elemento dopo elemento. Ma appena anche il cielo che le fa da sfondo è terminato, e la vera strada, capiamo, è quella da cui proviene l’osservatore. Che, a sua volta, è osservato da una moltitudine di gente: operai, studenti, giovani madri, bambini. Quella che credevamo una strada si è trasformata nella barriera di un passaggio a livello, che separa quella gente da noi, e da un ferroviere come stupito di quella distanza, che ci guarda preoccupato come un padre di famiglia o un sindacalista di coscienza guarderebbe il capo o il politico di turno che potrebbe dare il comando perché quella barriera si alzi, ma non lo dà. Dal canto suo, adagiato proprio in questa scenografia, il pubblico in studio di Ballarò è un altro piccolo fenomeno mediatico, perché uno dei più liberi e schierati al tempo stesso.

Floris ha imbroccato un uovo di Colombo per il problema decennale dell’applauso finto nei talk-show politico-economici. A volere solo applausi veri, e invitando molto spesso Tremonti, si rischia il silenzio, al termine delle battute, con tutto il rispetto per il suo senso dell’umorismo da tributarista lombardo – per quanto evidentemente andato a scuola di conversazione da Berlusconi, mentre lui prendeva appunti su debito pubblico e pornotax. E allora le due parti in causa – in cui necessariamente si divide ogni puntata – godono ognuna di una sua specie di claque particolarmente motivata, e disposta anche geopoliticamente secondo la sua preferenza. Studenti, soprattutto scienze politiche Luiss, la scuola da cui proviene Floris, da una parte, Forza Italia Giovani e suggeritori e assistenti di vario tipo dall’altra, in un equilibrio di entusiasmo (o mancanze di esso) che spesso rasenta il simbolismo della democrazia e delle pari opportunità.

Nessun commento: