sabato 17 novembre 2007

Heroes, la storia magnifica di un insuccesso solo italiano



(in edicola il 16 novembre 2007 - anticipazione e commenti qui)

Heroes è giunto all’ultima puntata della prima stagione doppiata male, ed è ormai tempo di considerarlo, probabilmente, il serial più interessante dai tempi delle primissime puntate di Lost. L’insuccesso di ascolti di questa altissima serie fantascientifica è stato un fenomeno tutto italiano che, d’altro canto, ha avuto due risvolti positivi, uno solo sociologico e uno socioculturale. Da una parte, costringendo i capi spirituali di Italia Uno prima a interromperne, e poi cambiarne drasticamente l’orario di programmazione, di modo che passasse da domenica in prime time al mercoledì in seconda serata, ha reso possibile l’uscita pre-lunedì dei molti appassionatissimi che avevano smesso di andare in sala giochi, pur di non perdere una puntata delle avventure di Niki Sanders e Peter Petrelli. Dall’altra, ha costretto i suddetti appassionatissimi, una volta minacciata e poi attuata la sospensione della messa in onda, a sfoderare tutto l’inglese scolastico che avevano nel cassetto, turarsi la coscienza e scaricare da Pirate Bay le puntate rimanenti. Fino alla fine della prima stagione e oltre, verso nuovi confini: le prime sette della seconda già trasmesse negli Usa.

Dire che questo sia avvenuto in parte per venire incontro alla facoltà mentali degli spettatori medi italiani, non è solo riduttivo (rispetto ai meriti della serie, che sono notevolissimi, e valicano con facilità anche i limiti poetici e tematici che di solito sono posti ad una serie fantascientifica), ma è anche impreciso: è avvenuto esclusivamente per venire incontro a quelle stesse facoltà mentali, che consentono all’Isola dei Famosi di non essere abbandonata dalle telecamere, e lasciata divorare da creature marine mostruose e insorte, con tutti i suoi abitanti, inclusi quelli eliminati. Dal punto di vista del significato (le bellissime immagini cui ci ha abituato parlano relativamente da sole), Heroes è eccezionale perché umanizza e razionalizza una lunga tradizione di fumetti di basso livello – e di pellicole tratte da fumetti di infimo livello – in cui i cosiddetti superpoteri erano solo armi straordinarie a disposizione di qualcuno di sfortunato nella vita, in attesa di rifarsi nella fiction. Un clichè ripetuto centinaia di volte, in una sorta di revanscismo para-cristiano dei deboli e secchioni sui fashion e normo-dotati (giacché, in quell’ottica, i secchioni sono solo o sottosviluppati o volano).

Heroes, invece, parla di gente straordinaria, sì: supereroi, persone che leggono nel pensiero, rigenerano loro arti e saltano la staccionata senza l’olio Cuore. Ma il punto, la novità, è che ci si chiede – e ci si dà una risposta, nel corso delle puntate – da dove quei poteri provengano. E questa risposta solo a un livello – dantescamente parlando – letterale che viene comunicata dai fatti: vale a dire, un esperimento di ingegneria genetica che ha modificato le facoltà fisiche e mentali dei nostri eroi. In realtà, basta salire di un livello di lettura, e ci rendiamo conto che niente è dato per caso ad essi. Come un destino metaforico ha fatto sì che, ad esempio, Claire Bennet fosse una studentessa apparentemente fragile, che può guarire da ogni ferita fisica. Hiro Nakamura è il classico colletto bianco che indosserà il kimono d’oro, ma con che psicologismo il suo dono è quello di andare avanti e indietro a piacimento nello spazio e nel tempo, quando ha passato la prima parte della sua “carriera” fra i divisori di un ufficio grigissimo. È un ricco gioco di rimandi e significati, che rende Heroes è una delle più belle parabole contemporanee sul talento e la gestione di esso; sull’importanza dei singoli nel destino di un gruppo; sulla verità che non sempre sta dalla parte con cui crediamo di stare noi (e questo lo scriviamo perché anche noi, dal canto nostro, abbiamo scaricato un po’ troppe puntate).

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