giovedì 29 novembre 2007

L’onesto marchettone del Molleggiato nostro



(in edicola il 28 novembre 2007, anticipazioni e commenti qui)

Fra le cose che deve farsi perdonare il presente show di Adriano Celentano, dite pure che c’è, innanzitutto, la sigla-strip, in cui i vestiti della ragazza che vanno via si incendiano al contatto col suolo. Dite anche che Fabio Fazio, per quanto sia bravo, non è che poi sia David Letterman apparso sulla scena in persona, e che quindi la sorpresa di vederlo interloquire con Celentano non è che sia poi così stupefacente, come il suo modo di guardarsi attorno in cerca di “ohhhhh” vorrebbe far credere. Aggiungete che è tutto troppo lungo, e avrete forse elencato alcuni difetti, ma solo formali, di messa in opera, di un progetto altrimenti corretto nella sostanza e nella formula, che delegittimare gridando alla marchetta, come molto fanno, col 2008 alle porte, ci sembra francamente disonesto. Insomma siamo convinti che si possa parlare di questioni di gusto o di decoro, ma non certo di etica professionale (quale professione? L’interprete di canzoni, così soggetto a un mercato – quello musicale – in crisi di vendite e di ispirazione?).

Non dite dunque che la pratica dello spot monumentale all’ultimo disco in distribuzione – esteso alla durata di un intero programma in più puntate - sia codarda o, peggio, superata; soprattutto in tempi come questi, in cui la pubblicità è in soprattutto se è occulta, se è chiacchiera orchestrata in modo che sembri spontanea o, ancora, se è il classico redazionale di tg (che, del resto, c’è da dire che non mancherà mai ad Adriano, ma non è questo il punto). Nulla contro il marketing del passaparola, beninteso, se fatto a regola d’arte, ma neanche qualcosa contro quello più diretto e “spettacolare” del solenne marchettone, se intrattiene e non mente.
Di spontaneo, nella trasmissione di Rai Uno, dunque, c’è ben poco, ma non è affatto richiesto che ci sia qualcosa di naturale in uno show del genere. A parte la fiducia di una casa discografica nei confronti di un prodotto che ha realizzato, e il suo desiderio di investire anche in televisione, perché quel prodotto venga comprato dal maggior numero possibile di spettatori di Celentano.

“La situazione di mia sorella non è buona”, come la maggior parte delle fatiche televisive di Celentano, altro non è che questo: pubblicità di una certa qualità. Perché ad esempio, destruttura una canzone nella rappresentazione del suo paroliere (Mogol), dell’autore delle sue musiche e del suo interprete che dialogano prima della sua esecuzione, come nella figura di tre stati della materia (da esperimento scientifico), o tre età dell’uomo (più rinascimentale). Oppure perché Celentano canta bene.
C’è gente che la studia, la pubblicità televisiva, che ci scrive saggi fuorvianti o emozionanti; altri che la sottovalutano, o altri ancora che la venerano più del prodotto che proponga; gente che la guarda e compra, o che non la guarda e compra lo stesso. Celentano ha parlato del suo prodotto, ha più o meno interessato, venderà. Non dite che non ha fatto il suo dovere. Se per tutti gli altri non è stato un piacere, è tutta un’altra questione.

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